Di Federica Tourn (Jesus n. 5 maggio 2017)
Foto: Giulia Bianchi
La prima cosa che ti colpisce, più ancora della litania continua della messa o del suono delle campane, è l’odore persistente di cera fusa. Il vento che si incanala nella valle lo porta dal cuore del Santuario, dove bruciano senza sosta le candele, sulle terrazze delle stanze in affitto, nei déhors dei ristoranti a prezzo fisso, nei mille negozi di statue, rosari e crocefissi fino a penetrare nelle finestre aperte degli alberghi dai nomi inequivocabili – Rosa mistica, Consolata, Cristo rei, Santa noite, Catolica – e non hai dubbi: sei arrivato a Fatima. Una cittadina costruita dal nulla intorno alla Cappellina delle Apparizioni, al centro della Cova da Iria, un tempo una collina dolce di ulivi e lecci dove pascolavano le pecore e oggi una spianata di marmo e cemento che attira con forza centripeta migliaia di credenti ogni settimana. Sopra, lo stesso cielo di sempre, che cambia più volte al giorno, in un rincorrersi di nuvole, pioggia improvvisa e sole che scotta anche in primavera.
L’annuncio della ripetuta visione della Madonna, fatta da tre pastorelli analfabeti nel 1917, non ha smesso di interrogare i fedeli, che un secolo dopo continuano ad arrivare in questo angolo di Portogallo spinti dal desiderio di essere parte di una chiesa viva, una comunità capace di fermento, di crescita e di grazia. Da dieci anni il Santuario prepara il centenario con manifestazioni liturgiche e culturali che raggiungeranno il clou il 12 maggio con la visita di papa Francesco, che proprio nella ricorrenza della prima apparizione probabilmente ufficializzerà la canonizzazione dei beati Francisco e Jacinta Marto. Saranno quindi santi due dei pastorelli, morti ancora bambini, mentre per la terza, Lucia De Jesus, vissuta quasi 98 anni, di cui 57 passati in un convento di clausura, è in corso il processo di beatificazione.
Qui nessuno sta fermo: né fisicamente, perché il pellegrinaggio spinge a raggiungere a piedi i luoghi sacri, né soprattutto spiritualmente, perché l’invito alla penitenza e al sacrificio è l’esercizio continuo del credente a Fatima. «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo», dice Gesù. Cita proprio il Vangelo di Marco padre Aventino Oliveira, quando spiega il significato della penitenza: «vuol dire cambiare cuore, convertirsi: Il sacrificio è segno di fede e ringraziamento a Dio, se glielo offro Lui lo trasforma in grazia per altri che ne hanno bisogno». Padre Aventino fa parte dei Missionari della Consolata, e a Fatima è arrivato nel ’44 quando aveva 11 anni e qui c’erano soltanto sei case e niente acqua corrente. Non ha dubbi, lui: «Fatima è per i cattolici quello che Gerusalemme è per gli ebrei: il santuario è un posto dove Dio è più a nostra disposizione». Un’isola di devozione in un Paese sempre più secolarizzato, impegnato a cavalcare l’inaspettata ripresa economica del governo di sinistra di Antonio Costa. Con la semplicità – e la pervicacia – del cattolicesimo popolare, Fatima promette forze fresche a una Chiesa che perde fedeli (su dieci milioni di abitanti, il 20 per cento si dichiara praticante, ma è una realtà di facciata). «Il cristianesimo in Portogallo sta perdendo energia e fermento – dice padre Aventino – anche se vedo di nuovo molti giovani riavvicinarsi alla fede e dedicarsi al prossimo». «Per capire la forza di questo luogo bisogna stare in confessionale – aggiunge – molte persone vengono fin qui per liberarsi di peccati che non osano dire altrove; molto spesso le confessioni a Fatima diventano conversioni».
Se a Lourdes si va per guarire il corpo, a Fatima si viene per curare lo spirito, fortificare la fede e sentirsi parte del grande corpo mistico della chiesa. Le domande di partecipazione sono in continuo aumento: se l’anno scorso si è toccata quota 5 milioni, quest’anno le richieste sono già raddoppiate e più di un milione di pellegrini sono attesi per il 12 e 13 maggio. Effetto Bergoglio? «Niente affatto, registriamo sempre un’enorme affluenza da maggio a ottobre, in particolare il 13, giorno in cui si ricorda l’apparizione di Maria – testimonia Pedro Valinho, responsabile del Sepe, il Servizio Pellegrini del Santuario – Arrivano da tutto il mondo e in particolare da Spagna, Italia, Polonia, Brasile, Stati Uniti, oltre che dal Portogallo, ma la vera novità degli ultimi anni è l’incremento dei fedeli provenienti dall’Asia, in particolare da Sud Corea, Indonesia e India». «Qui si vive anche una grande esperienza comunitaria – spiega Valinho – credenti di ogni generazione sono uniti dalla consapevolezza di condividere la stessa speranza, oggi come allora».
Chi viene una volta, in genere ritorna: quello che convince, secondo Valinho, è la fede umile dei bambini, che permette ai credenti di ogni età di ricevere con semplicità il messaggio evangelico. Se, come dichiarò Ratzinger nel ’96, guardare alla Madonna significa tornare all’essenziale, cioè al Vangelo, allora Fatima «è un invito a fissare lo sguardo in Dio, a contemplare il mistero di Cristo con la preghiera e la recita del rosario», dice Valinho, che a Fatima veniva già da bambino e ora è felice di esserci tornato stabilmente per lavorare al Santuario. Qui si viene per «ricaricare le batterie», come ama dire padre Aventino, per un periodo di raccoglimento spirituale, lontano dalle tentazioni. L’accento torna sul sacrificio e la mortificazione di sé: «l’invito ad espiare è un messaggio che avrebbe molto da dire alla società occidentale, prigioniera dell’edonismo, e a un mondo che punta solo al benessere materiale», conferma Alessio, che è venuto a Fatima con uno dei tanti viaggi dell’Opera Romana Pellegrinaggi.
Il dolore, altrove evitato finché possibile, qui acquista un senso; di più, diventa l’obiettivo a cui piegare superbia e incertezze quotidiane per ottenere salvezza per sé e per gli altri. Questo è infatti il missione che la «signora più splendente del sole», come la descrive Lucia nelle sue memorie, avrebbe affidato ai pastorelli. Maria appare addolorata ai tre bambini mentre mostra loro i dannati che si contorcono tra le fiamme dell’inferno: un vescovo vestito di bianco è colpito a morte, molti peccati prostrano la cristianità e per redimerli i credenti dovranno essere disposti a soffrire e a pregare per la conversione della Russia. Immagini terribili che restituiscono il linguaggio del catechismo dell’epoca: che cosa hanno ancora da dire ai credenti di oggi? Il mondo è cambiato moltissimo da allora, forse più che in tutti i secoli precedenti e non è consueto sentire parlare di inferno e purgatorio come scenari danteschi e di credenti desiderosi di offrire il proprio corpo per la salvezza degli altri come Gesù sulla croce. Un corpo che va mortificato ma che nella spirituale Fatima è tuttavia continuamente presente: nelle rappresentazioni dei pastorelli morenti, nei cuori di Cristo da cui sgorga il sangue versato per i peccati, nelle piaghe aperte nel petto della piccola Jacinta devastata dalla malattia, persino negli organi di cera da bruciare come offerta e richiesta di grazia; e ovviamente nelle ferite sanguinanti dei penitenti in carne ed ossa che attraversano in ginocchio la piazza del Santuario.
«La visione descritta da Lucia è una manifestazione mistica: sono scenari reali ma descritti con l’immaginario dei bambini – taglia corto Marco Manuel Duarte, direttore del Servizio studi e diffusione del Santuario – il senso dell’apparizione è confermare la presenza di Dio nella storia umana, anche nei momenti più drammatici». Come nel 1917, in piena prima guerra mondiale, o come ai giorni nostri, dove non mancano certo conflitti, migrazioni e carestie che mettono in crisi l’equilibrio del pianeta. «Fatima non vive separata dalla sua epoca – spiega Duarte – Non siamo più al tempo della guerra fredda, il riferimento alla conversione della Russia va contestualizzato. La geografia è cambiata: oggi i nemici della fede arrivano dal medio Oriente, dove i cristiani vengono ancora martirizzati». Il riferimento è all’Isis e alla pericolo del fondamentalismo islamico, mentre il “vescovo vestito di bianco”, secondo Duarte, rappresenterebbe non soltanto Giovanni Paolo II, come è stato sostenuto, ma tutti i pontefici che si trovano ad affrontare la via crucis del secolo breve.
In ogni modo, al Santuario sono concordi: a dispetto delle polemiche sull’autenticità del testo del cosiddetto “terzo segreto”, a lungo custodito dal Vaticano e infine divulgato nel 2000 da papa Wojtyla, al pellegrino oggi non interessa tanto il contenuto del messaggio quanto sentirsi alla presenza di un Dio che guarda alla creazione per riabilitarla.
«Fatima è un annuncio di grazia, misericordia e pace che la Madonna porta a un’umanità minacciata dalla guerra e dai regimi atei», dice monsignor Antonio Marto, vescovo della diocesi di Leiria-Fatima, al termine della messa serale celebrata nella mega Basilica della Santissima Trinità da più di ottomila posti, costruita nel 2007. «Oggi il male non è più il comunismo ma l’indifferenza religiosa, il vivere come se Dio non ci fosse. La secolarizzazione contagia gli ambienti cristiani, provocando un divorzio fra la fede e la vita quotidiana: molti si credono cattolici ma non lo sono». «Il messaggio di Fatima è più eucaristico che mariano, perché allude al corpo di Cristo che si offre per l’umanità dolente», specifica don Antonio Marto, parroco della Chiesa de Los Prazeres a Fatima vecchia, dove sono stati battezzati i tre pastorelli. «È una parola di speranza per tutti i credenti, una grande responsabilità che abbiamo nei confronti della chiesa, di cui dobbiamo prendere coscienza in occasione di questo centenario».
Intanto è scesa la sera, tacciono gli altoparlanti e le voci dei bambini, i canti e le ave maria. Durante la cerimonia dell’Adeus, la notte del Santuario si riempie delle candele dei fedeli e sulla spianata della Cova da Iria scende il silenzio, mentre la croce illuminata sulla cima della Basilica di Nostra Signora del Rosario si riverbera sull’asfalto lucido di pioggia, creando l’effetto di una chiesa emersa dalle acque. Se pensate che ogni religione abbia bisogno di mistero, a Fatima sarete accontentati. E la coreografia non manca.