La Cassazione conferma la sentenza di appello: condannato il mandante e assolto l’esecutore materiale
Trentadue anni fa, il 26 settembre 1988, il sociologo e giornalista Mauro Rostagno veniva ucciso in un agguato mafioso alle porte di Trapani. Aveva 46 anni e aveva succhiato energia da ogni singolo giorno vissuto: giovanissimo emigrato all’estero, quindi studente di Sociologia a Trento attorno al 1968, assistente alla cattedra di sociologia all’università di Palermo, responsabile regionale siciliano di Lotta Continua (clamorosa l’occupazione della cattedrale con i senza tetto della città), fondatore a Milano del centro sociale Macondo, a cui seguiranno gli anni in India nell’ashram di Osho a Pune e infine Trapani con Saman, prima centro di meditazione, poi comunità terapeutica per tossicodipendenti, cui negli ultimi due anni aveva affiancato il lavoro da giornalista alla rete televisiva locale Rtc. Saranno proprio i suoi servizi, le inchieste e la comprensione della penetrazione di Cosa Nostra a Trapani a portare alla reazione dei capi mafia.
Ora trentadue anni dopo, c’è finalmente anche una sentenza definitiva a certificarlo, pronunciata nel pomeriggio di ieri 27 novembre. Confermata la sentenza di appello, ergastolo al boss trapanese di Cosa Nostra Vincenzo Virga, assolto il presunto esecutore materiale, Vito Mazzara, nonostante le numerose prove a carico.
È stata la mafia dunque, e da oggi in poi chiunque accennerà a qualsiasi altra assurdità potrà doverne rispondere in tribunale. Mancano, con l’assenza della condanna di un killer, molti particolari puntuali, come mancano gli approfondimenti sul “livello superiore”, su presunti connubi di interessi fra malavita e colletti bianchi, fra boss e politica. Ma quello di Rostagno non è certo l’unico caso in tal senso in Italia.
All’inizio di quell’autunno Mauro Rostagno è in auto, quando i sicari di Vincenzo Virga lo aspettano a poche decine di metri da quella che da sette anni è la sua nuova casa. Con lui in Sicilia ci sono la compagna Chicca e la figlia Maddalena, che all’epoca ha 15 anni.
Seguiranno anni di depistaggi, lungaggini, calunnie.
Nel 1996, la svolta nelle indagini e la stampa grida che la soluzione è finalmente a un passo. Un omicidio fra drogati, con corna, amanti, passioni, solitudini. Tutto interno a Saman. Cherchez la femme; ma lo diceva già anche Sciascia, è troppo facile così. Però, prima che il castello di accuse crolli miseramente come miseramente era stato innalzato, Chicca Roveri, la compagna di Rostagno, passa 15 giorni a San Vittore. Clitennestra la chiamerà uno dei massimi giornalisti italiani. La nostra categoria ne esce discretamente a pezzi. Sono pochi i giornalisti che vanno controcorrente e contribuiscono a dimostrare l’assurdità della pista “interna”: fra loro si spendono in particolare Adriano Sofri e Enrico Deaglio. Ma si sa, le storie di lenzuola e sangue eccitano le penne: chi in malafede, chi per sciatteria, chi per accontentare il proprio ego, si sprecano i racconti del delitto maturato fra amici.
Questo filone si dimostra comunque presto totalmente arido, e finalmente, siamo nel 1997, viene imboccata la strada giusta, quella che dall’inizio era apparsa immediatamente chiara ai veri servitori dello Stato, a figure come il capo della squadra mobile Calogero Germanà: il delitto era opera della Mafia. Questo ficcanaso, la camurria Rostagno, andava messo a tacere.
Nel 2011, a 23 anni dai fatti (va ripetuto, se non fosse chiaro: 23 anni), si apre il processo contro Vincenzo Virga, capo della cosca trapanese, in qualità di mandante, e Vito Mazzara, quale esecutore materiale dell’omicidio.
La sentenza di primo grado li condanna entrambi all’ergastolo. La sentenza di appello, del febbraio 2018, conferma la matrice mafiosa e l’ergastolo a Virga. Assolto invece Mazzara. La Cassazione ieri ha messo il sigillo, probabilmente finale. La giustizia ha fatto il suo corso. Per avere un quadro completo di tutta la vicenda ci vorrà invece ancora tempo. Agli storici, ai giornalisti il compito di non accontentarsi. Lo si deve a Mauro Rostagno, alla famiglia e agli amici, alla maturità di questo sgangherato paese.
cg