Il figlio è mio e lo istruisco io (lontano dalle scuole e a destra)

Di Federica Tourn

FQ Millennium, aprile 2022

Immagina di tornare bambino e di vivere in un mondo senza lunedì. Un mondo dove non suona la sveglia né la campanella, dove ti alzi quando vuoi e non esistono interrogazioni, compiti o note sul registro né banchi e tantomeno insegnanti in cattedra; un mondo dove giochi quanto vuoi, impari quello che ti piace e a settembre, quando tutti gli altri ritornano in classe, tu invece fai una grande festa di “Non rientro a scuola”. No, non è il paese dei balocchi di Pinocchio ma la realtà di ogni giorno per tanti bambini e ragazzi che, invece di andare a scuola, studiano a casa. 

Oltreoceano l’homeschooling è un’opzione considerata ormai quasi mainstream: negli Stati Uniti nel 2020-21 si sono registrati 3,7 milioni di studenti in istruzione parentale, 1,2 milioni in più rispetto alla primavera del 2019 (dati del National Home Education Research Institute) ed è in forte crescita anche in paesi come l’Australia, il Giappone o la Gran Bretagna. In Europa, disertare le aule è ancora vietato in alcuni paesi, come la Germania, la Svezia e (di recente) la Francia, ma da noi sta prendendo sempre più piede. In Italia negli ultimi due anni il numero è addirittura triplicato: secondo i dati del ministero dell’Istruzione, si è passati infatti dai 5.126 ragazzi che studiano fra le mura domestiche del 2018-2019 ai 15.361 del 2020-2021. Un balzo dovuto alla pandemia, che ha portato molte famiglie a ritirare i figli da scuola per paura del contagio e per evitare i disagi del distanziamento e della mascherina, ma che una convinta minoranza portava avanti già da tempo. I motivi possono essere diversi, ma alla base di questa scelta si trova sempre il desiderio di impartire un’educazione conforme ai princìpi della famiglia e una generale sfiducia nell’istituzione scolastica, considerata ottusa e repressiva: l’istruzione domestica, al contrario, permetterebbe ai bambini di crescere senza condizionamenti, liberi di assecondare la propria creatività. 

Nel nostro paese, non esiste formalmente l’obbligo ad andare a scuola: ad essere obbligatoria è l’istruzione, come sottolinea l’articolo 30 della Costituzione, e sono i genitori che decidono se demandare il compito a un’istituzione pubblica o privata o se occuparsene in prima persona. In questo caso, secondo l’art. 111 del Testo Unico in materia di istruzione per le scuole di ogni ordine e grado del 1994, devono soltanto dimostrare di averne la capacità tecnica ed economica e comunicarlo alle autorità competenti. Basta insomma notificare la decisione al dirigente scolastico del territorio di residenza e fornire la documentazione del programma svolto a casa alla scuola di competenza, che “vigila” sull’effettiva preparazione del minore. 

Convinti che non esistano soltanto i libri di testo, i genitori homeschooler utilizzano gli stimoli della vita quotidiana per spaziare dal gioco alla matematica, dall’inglese alla cucina, lasciando i loro piccoli Emile liberi di esplorare il mondo che li circonda. «I bambini hanno capacità innate che vengono soffocate dal sistema scolastico, che li condiziona sin dalla prima infanzia e ne reprime i talenti – afferma Francesca (nome di fantasia) di Torino – con l’istruzione parentale non siamo noi a imporre delle nozioni ma sono loro che ci guidano con le loro domande: è un brainstorming continuo, in cui tutto diventa occasione per una lezione, dalla gita per raccogliere castagne al laboratorio sulle erbe spontanee». 

Quando è il bambino che prende il timone della sua stessa istruzione, più che di homeschooling si parla però di unschooling, il metodo educativo coniato dall’educatore americano John Holt: «una sorta di libertarismo romantico», come lo definisce Paolo Di Motoli, che all’educazione parentale ha dedicato un libro, Fuori dalla scuola. L’homeschooling in Italia, pubblicato nel 2020 da Studium Edizioni. «Questa visione è caratterizzata da una spiccata intolleranza verso qualsiasi forma coercitiva di educazione e unisce l’individualismo alla critica della società dominante e del consumismo – spiega Di Motoli – i genitori non vogliono delegare nulla ad altri ma vigilano personalmente su ogni aspetto della vita dei figli, da cosa studiano a cosa mangiano». Sono libertari, anarchici – molti di loro oggi sono anche no vax – convinti che svincolarsi dallo Stato sia l’unico modo per sottrarsi all’indottrinamento di massa che verrebbe invece proposto nelle aule. 

«Fare homeschooling ti consente di non sprecare tempo – commenta Dafne (nome di fantasia), dalla Liguria – spieghi due nozioni, assegni qualche esercizio da fare e intanto puoi occuparti della cucina, caricare la lavatrice o fare la spesa. Senza calendario fisso, li rendi più autonomi senza avere il peso del giudizio e delle scadenze». Dafne ha due figlie, una di 12 e una di 16 anni: entrambe hanno studiato a casa per diversi anni. Sono contente, dice la madre, e anche le occasioni per socializzare non sono certo mancate: «Hanno imparato a relazionarsi con tutti andando a fare la spesa o accompagnando la nonna dal podologo – sottolinea Dafne – ed è importante, perché la vita è fatta anche di queste cose». Quando le chiedo se i genitori sono competenti e riescono a garantire un’istruzione adeguata, soprattutto una volta terminato il ciclo della primaria, mi risponde con tranquillità che «non c’è nulla che un adulto non riesca a insegnare, se si mette in gioco e studia a sua volta». È lì, ribadisce Dafne, il fulcro dell’homeschooling: «devi aver voglia di stare con i tuoi figli: non è un mondo per chi delega». 

L’incontro con l’istituzione arriva comunque con i passaggi obbligati della licenza media e della maturità: inoltre, la “buona scuola” di Renzi, con il decreto n. 62 del 13 aprile del 2017, ha specificato che chi si avvale dell’istruzione a casa è tenuto a dare ogni anno un esame di idoneità per il passaggio alla classe successiva. Una prescrizione che non è andata giù a molte famiglie, che ritengono questa disposizione contraria alla filosofia stessa dell’homeschooling, ispirata a un’istruzione libera e svincolata dal giudizio degli estranei. «La maggior parte si adegua, ma c’è anche chi si sottrae alla verifica annuale e contesta apertamente la normativa», spiega Lara Reymondet Fochira, referente per il Piemonte di Laif, L’Associazione Istruzione Famigliare, nata nel 2017 per sostenere gli homeschooler nei rapporti, non sempre facili, con le istituzioni. 

Dalle mappe concettuali con il lapbook agli asili in mezzo alla natura, c’è chi si occupa da solo dell’istruzione del figlio, chi fai i turni con altre famiglie, chi opta per un “sistema misto”, appaltando alcune materie a insegnanti esterni e chi, infine, si affida a scuole parentali gestite da persone di fiducia. Nell’universo dell’educazione parentale c’è di tutto, anche se è innegabile che a occuparsi dell’istruzione casalinga siano quasi sempre le madri, come conferma Reymondet Fochira: «Molte sono passate al part time o hanno rinunciato al lavoro per stare dietro ai figli. Invece, di padri disposti a stare a casa coi bambini in Italia se ne vedono ancora pochi». 

In rete si trovano siti che forniscono (a pagamento) materiali di approfondimento e pacchetti di lezioni online. Il più frequentato è edupar.org di Erika di Martino, una comunità dove le famiglie si scambiano esperienze e possono trovare servizi e informazioni utili, come la lista delle “scuole amiche”, dove dare gli esami di idoneità senza incontrare troppi problemi. Molte sono private (alcune anche confessionali) e richiedono il pagamento di una tassa per l’esame che va dai 200 agli 800 euro; alcune sono convenzionate con edupar e praticano sconti per i membri del sito. La legge stabilisce infatti che gli esami si possano dare in qualsiasi istituto, pubblico o parificato, anche fuori dal comune di residenza. Di Martino, considerata la “pioniera” dell’unschooling in Italia, si definisce “life & family coach” e su un altro dei suoi siti, edulearn.org, mette a disposizione un vero e proprio team (di cui fanno parte anche due dei suoi cinque figli) che organizza classi on line: «La creatività è fondamentale: mio figlio per esempio tiene un corso di storia a partire dal gioco fantasy Dungeons and Dragons», spiega, e aggiunge: «Ci sono sempre più ragazzi homeschooler anche nella fascia delle superiori, perché la scuola rivela ovunque le sue carenze, anche nella preparazione degli insegnanti; se poi si aggiungono le assenze dei docenti, le quarantene e la dad, è ovvio che le famiglie vadano in cerca di un percorso alternativo».

La diffidenza verso l’istituzione scolastica è condivisa anche dagli homeschooler cattolici, che allevano i figli a casa per sottrarli alle influenze negative del pensiero laico. Sono soprattutto cattolici integralisti che non si riconoscono nella riforma liturgica del Concilio Vaticano II, frequentano la messa in latino, non apprezzano papa Francesco e accusano le scuole paritarie confessionali di aver addomesticato i precetti della vera fede, dispensando agli studenti un cattolicesimo all’acqua di rose. «Anche l’ora di religione non è più quella dei Patti Lateranensi», si lamenta Monica Gibertoni. Monica vive vicino a Bologna con il marito, due bambini e un terzo in arrivo; è laureata in chimica ma con la prima gravidanza ha lasciato il lavoro per dedicarsi completamente alla famiglia. In casa sua, la giornata inizia con le preghiere e la storia del santo del giorno, per proseguire con lo studio dell’italiano e le altre materie. Per chi non riesce a occuparsi in prima persona dei pargoli, ci sono le parentali cattoliche: a Sant’Ilario d’Enza e a Reggio Emilia, operano dal 1983 le “Scuole Immaginache”, create dal movimento ecclesiale Familiaris Consortio, probabilmente la più antica esperienza italiana di scuola parentale, rivolta a bambini delle elementari e delle medie; a San Benedetto del Tronto tra le più frequentate c’è la Scuola Libera G. K. Chesterton, che organizza classi di medie, liceo delle scienze umane e periti elettronici, e ad Albano Laziale addirittura un vero e proprio collegio con convitto per studenti dalle elementari alle superiori che propone «un’educazione integralmente cattolica», la Scuola parentale San Pancrazio. La teoria del “gender”, per questi genitori, è soltanto la punta dell’iceberg, assicura Monica Gibertoni: «adesso passa il messaggio che ogni diversità è un valore e che tutte le religioni sono uguali ma non è vero – spiega – Il nostro desiderio è sempre stato quello di dare valori solidi ai nostri figli fin dalla prima infanzia: non vogliamo rischiare che a scuola assimilino insegnamenti sbagliati». 

Se per i tradizionalisti la scuola è una cattiva maestra, perché ha cancellato Dio e aperto la strada alle aberrazioni del secolarismo, l’homeschooling ha certamente ricevuto un deciso endorsement dal mondo pro life. Nel maggio 2017, infatti, è proprio l’associazione Pro Vita (oggi Pro Vita e Famiglia) a organizzare a Roma una conferenza internazionale sulla scuola parentale e la libertà educativa. A tenere banco sono, oltre al padrone di casa Toni Brandi, presidente di Pro Vita e organizzatore del Congresso mondiale delle famiglie di Verona, l’americano Mike Donnelly, un pezzo grosso della Home School Legal Defense Association, organizzazione leader nella difesa dell’homeschooling. Con i suoi centomila membri, la HSLDA è stata protagonista delle battaglie legali che hanno portato al riconoscimento del diritto all’educazione in famiglia negli Stati Uniti ed è un utile strumento di lobbying per la destra cristiana: non influenza infatti soltanto le decisioni in materia di istruzione, ma propone anche emendamenti contro il matrimonio gay e in generale contro tutto ciò che esula dalla cosiddetta famiglia naturale. Il suo fondatore, il battista Michael Farris, che tra i suoi successi vanta la creazione del Patrick Henry College in Virginia, detto “l’Harvard di Dio”, è oggi il presidente dell’Alliance Defending Freedom, una potente organizzazione confessionale più volte segnalata come “gruppo di odio anti Lgbt” dal Southern Poverty Law Center, un’istituzione che monitora i crimini contro i diritti umani. In nome di “un’agenda omosessuale” che vorrebbe distruggere il cristianesimo, l’Alliance si batte contro l’aborto, la contraccezione di emergenza e in generale la visibilità della comunità gay. 

L’HSLDA inoltre monitora con molta attenzione la salute dell’istruzione parentale nel mondo con il suo braccio esecutivo all’estero, la GHEX, Global Home Education Exchange, una rete che mette in relazione le esperienze di homeschooling a livello internazionale e che ogni due anni organizza un grande congresso mondiale: l’ultimo, nel 2020, si è tenuto online ma quello di Mosca del 2018 ha ospitato più di mille persone provenienti da oltre trenta paesi.

Al convegno di Pro Vita, seduto a fianco di Donnelly e al direttore di GHEX Gerald Huebner, c’era anche il russo Alexey Komov, personaggio ben noto a chi frequenta gli ambienti della destra cristiana transnazionale. Collante fra est e ovest, Komov è infatti l’uomo chiave del Congresso mondiale delle famiglie (l’avevamo visto a Verona nel 2019), rappresenta il dipartimento per la famiglia della Chiesa ortodossa russa e fa parte anche della piattaforma ultraconservatrice CitizenGo. Amico di Matteo Salvini e longa manus dell’oligarca sovranista Kostantin Malofeev, che con la sua fondazione San Basilio il Grande finanzia operazioni della destra cristiana in tutto il mondo, Komov è anche il responsabile di “Classical conversation”, un corso per homeschooler in Russia, totalmente finanziato dagli americani. 

«L’incontro romano serviva a preparare il congresso che si sarebbe tenuto a Mosca l’anno seguente», precisa Kristina Stoeckl, docente di Sociologia all’Università di Innsbruck e coordinatrice del Progetto di ricerca sui conflitti post-secolari, che si incentra sui rapporti fra religione e politica e sulla “santa alleanza” della Russia di Putin con i sovranisti americani. Nel suo lavoro, Stoeckl ha analizzato anche il ruolo dell’homeschooling nell’agenda politica di questo nuovo conservatorismo transnazionale: «nel 2016 a Mosca avevo intervistato Komov, che mi aveva parlato anche delle iniziative sull’educazione parentale in Russia», racconta, e aggiunge: «a Roma ho potuto vedere i filmati di Donnelly che gira il paese per sponsorizzare l’educazione parentale ma a mio avviso l’homeschooling in Russia non esiste, è un villaggio di Potëmkin». 

Nel consiglio di amministrazione di GHEX, a rappresentare l’Italia c’è, a sorpresa, anche Erika Di Martino che, d’altronde, collabora da anni con l’HSLDA. Della sua presenza in mezzo ai cavalieri della famiglia naturale, in prima fila contro aborto e gay, non c’è traccia sulle pagine web che amministra. Una parentela forse imbarazzante per chi promuove l’homeschooling come un mondo aperto e libero da condizionamentima lei minimizza: «GHEX è un’associazione apolitica che accoglie tutti, indipendentemente dal credo religioso». Tra gli sponsor del grande congresso di San Pietroburgo e Mosca del 2018, però, si trovano le ormai note Alliance Defending Freedom, la International Organization for the family, CitizenGo e la Fondazione San Basilio di Malofeev, e i nomi dei relatori di Mosca sono sempre gli stessi che risuonavano nel Palazzo della Gran Guardia a Verona durante l’ultimo Congresso mondiale delle famiglie: Brian Brown e Allan Carlson (presidente e fondatore del Congresso), Inacio Arsuaga (CitizenGo), Irina Shamolina (Patriarcato di Mosca), Alexei Komov. Tutte realtà con mission molto chiare (e portafogli gonfi), concordi nel portare avanti, in nome di Dio, una linea nel segno della famiglia naturale, bianca, eterosessuale.

«Quando parlano di educazione parentale, in realtà stanno facendo politica – conclude Stoeckl – l’homeschooling fa parte del portfolio di queste organizzazioni, un altro strumento per fare pressione contro l’autodeterminazione delle donne e la comunità Lgbt; in una parola, contro i diritti umani». Ne hanno fatta di strada, dalle scuolette nel bosco.

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