Bolzano, i primi a indagare ma anche i primi a insabbiare

Di Federica Tourn

Domani, 13 giugno 2022

Terza puntata dell’ampia inchiesta che Federica Tourn sta conducendo per il quotidiano Domani sugli abusi all’interno della chiesa cattolica in Italia.

Quando apre la porta ai carabinieri, don Livio non sospetta nulla. Conosce già quella coppia, venuta a chiedere informazioni per mandare il figlio nella comunità “Effatà Apriti” che il sacerdote gestisce a Prata Principato Ultra, in provincia di Avellino. Invece si tratta della copertura di un’indagine per violenza sessuale ai danni di un bambino di dodici anni e per don Livio Graziano, 56 anni, scatta l’arresto: l’ordine di custodia cautelare viene firmato il 22 ottobre scorso dalla gip del tribunale di Avellino Francesca Spella. Quattro giorni dopo, la sede della comunità è perquisita: «nell’armadietto del bagno vengono trovati preservativi, vaselina e lubrificanti, oltre a 107mila euro in due scatole chiuse a chiave», afferma l’avvocato Giovanni Falci, che assiste il padre della vittima – i genitori, infatti, si sono costituiti parte civile in proprio e in rappresentanza del figlio minorenne.

Originario della provincia di Caserta, don Livio è un prete sui generis. Le sue messe sono perturbanti, pervase da spirito carismatico: impone le mani e i fedeli si accasciano a terra, i malati vanno da lui per essere guariti. È anche un educatore: si dedica ai bambini senza famiglia, va nelle periferie per cercare chi è rimasto ai margini. Nel 2002 fonda ad Avellino la Fidde, Fraternità i Discepoli di Emmaus, una onlus che in breve tempo si ramifica in tutta la regione, aprendo ambulatori, attività per disabili, gruppi di auto aiuto per chi soffre di ansia, ludopatie, disforie di genere. A Castel Volturno dal 2004 al 2020 il sacerdote gestisce anche una comunità educativa a gestione famigliare, dove accoglie decine di ragazzi in difficoltà. 

Nel 2015 la onlus si costituisce in cooperativa sociale con il nome di Effatà Apriti, specializzata in problemi alimentari e convenzionata con il Servizio sanitario nazionale e con il Tribunale di Avellino, un progetto che sta particolarmente a cuore a don Livio perché, come confessa in un’intervista a Repubblica, lui stesso ha sofferto a lungo di bulimia e anoressiaFra i vari ambiti della missione del versatile sacerdote c’è anche, tragica ironia, la lotta contro la pedofilia: nel 2012, infatti, don Livio partecipa come esperto a un convegno sulla pedopornografia patrocinato dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Benevento, con un intervento sul “recupero del minore vittima di abusi”. Per il suo impegno sociale e umanitario, due anni dopo riceve addirittura il premio “Padre Pio da Pietrelcina”.

Andrea (nome di fantasia) ha una famiglia normale; va a scuola, ha la passione per il calcio e da tifoso del Napoli sogna di incontrare Insigne. Da un rapporto con un coetaneo si prende un’infezione e i genitori, disorientati, lo indirizzano proprio a don Livio, nella speranza che possa aiutarlo a mettere ordine nei suoi turbamenti preadolescenziali. Andrea resterà per tutta l’estate 2021 nella grande casa di Prata Principato Ultra, dormendo su un materasso ai piedi del prete: secondo quanto racconta il padre del ragazzo, dopo solo cinque giorni dal suo arrivo don Livio abusa di lui con il pretesto di “visitarlo”. «Le violenze da quel momento si ripeteranno per tutto il periodo della sua permanenza nella comunità», conferma l’avvocato Falci.

Il programma della “rieducazione di Andrea” è organizzato in una rigida griglia di impegni giornalieri, monitorata da un’équipe di specialisti. «Don Livio mi aggiornava su come proseguiva il soggiorno e mi mandava foto del ragazzo impegnato in diverse occupazioni», racconta il padre. Ma è soltanto una messinscena: «mio figlio mi ha detto in seguito che il prete lo metteva in posa apposta per le foto». Nella relazione finale consegnata ai genitori, si legge che Andrea è molto migliorato e «mostra una serenità e una pace interiore. Quella serenità che è la scoperta di esserci, di vivere l’istante intensamente».

A settembre, Andrea torna a casa. «Mi sono insospettito perché mio figlio era silenzioso e se ne stava sempre in disparte con il telefono – racconta il padre – gli ho chiesto a chi scrivesse continuamente e mi ha risposto: “a padre Livio, se non gli rispondo subito poi mi stressa”». Dalla chat fra i due, racconta il padre, vengono fuori centinaia di messaggi: quelli del prete sono incalzanti, si lamenta che il ragazzino non lo considera, che senza di lui la sua vita non ha più senso. Don Livio è inarrestabile, non cerca nemmeno di essere prudente: manda whatsapp a tutte le ore, anche di notte, pieni di chioccioline che – gli spiega Andrea – significano “ti amo”. «Gli scriveva anche mentre celebrava la messa – sottolinea sempre il padre – Durante il soggiorno estivo gli aveva anche fatto regali costosi: un iphone 12, un orologio, un Apple smart watch». Segno inequivocabile del delirio di onnipotenza in cui vive il sacerdote che, mentre fa la parte dell’amante con un bambino, sciorina su Facebook massime sull’amore e l’accettazione di sé, sostenuto dall’adorazione e dagli emoticon dei suoi seguaci. La storia di don Livio rappresenta bene la convinzione dell’impunità radicata nei preti abusanti, che scivolano indisturbati fra adescamenti ed esercizi spirituali, al riparo di gerarchie che perlopiù giocano a scaribarile sulle spalle delle vittime.

Secondo quanto riportano i legali della famiglia, il prete dava anche dei soldi al ragazzino in cambio di prestazioni sessuali. «Durante l’esame del contenuto dell’iphone di don Livio sono emerse alcune fotografie di Andrea mentre dorme, in pose inequivocabili – dichiara l’avvocata della madre della vittina, Benedetta Falci – foto cancellate dal sacerdote ma recuperate dagli inquirenti nella memoria dei file eliminati». 

La Chiesa, alla notizia dell’arresto, prende le distanze. La diocesi di Aversa, a cui il sacerdote appartiene, diffonde un comunicato stampa in cui dice che don Livio da ormai molti anni operava fuori dalla diocesi. Monsignor Arturo Aiello, vescovo di Avellino dal 2017, a sua volta alza le mani e rimpalla la questione al suo predecessore, monsignor Francesco Marino, che a più riprese aveva chiesto al sacerdote di non esercitare il ministero pastorale nel territorio diocesano. 

Marino conferma, spiegando che l’attività terapeutica di don Graziano lo preoccupava: «agiva in maniera autocefala e senza controllo – sottolinea il vescovo – questa situazione a me non convinceva, sia perché sganciata da ogni riferimento ecclesiale, sia perché in campi tanto delicati ci sarebbe stato bisogno di discernimento e competenza, che a me non risultava lui avesse». «Ero convinto – rincara l’ex vescovo di Avellino – che agisse senza averne effettiva capacità; lui stesso non mi sembrava avere un retroterra psicologico personale equilibrato e adeguato». 

Dubbi, chiacchiere sul conto del prete non mancano, ma denunce esplicite non arrivano, specifica monsignor Marino, che non manca di sottolineare come don Graziano operasse comunque sotto la responsabilità del vescovo di Aversa, Angelo Spinillo. Dal canto suo, Spinillo ribadisce che il prete da ormai quindici anni manteneva con la sua diocesi «un rapporto molto occasionale». «Il mio giudizio – afferma monsignor Spinillo –  era che che non riuscisse a vivere l’attività che sviluppava come un vero apostolato, ma piuttosto quasi come ricerca di un’affermazione di sé».

Il suo predecessore, il vescovo Mario Milano, però, aveva ingiunto a don Livio un periodo di discernimento e di recupero spirituale nella comunità monastica di Montevergine. Don Vitaliano Della Sala, vicedirettore della Caritas di Avellino, che ha conosciuto il sacerdote proprio a Montevergine, lo ricorda come una specie di santone: «padre Livio incoraggiava la superstizione della gente e a volte ho avuto l’impressione che confondesse la fede con la magia». «Che io sappia è stato allontanato da Aversa per sospetti di pedofilia – precisa don Vitaliano – purtroppo i vescovi in questi casi, invece di fare un’indagine seria e interrompere subito ogni rapporto fra il prete e i ragazzi, lo trasferiscono da un’altra parte aggravando il problema». 

Proprio la diocesi di Aversa è stata teatro di diversi casi di abuso: lo stesso vescovo Milano, dice ancora don Vitaliano, nel 2011 era stato costretto a dare le dimissioni a pochi mesi dal pensionamento proprio per avere spostato un altro prete sospettato di pedofilia. Decisioni che hanno conseguenze drammatiche, tanto più se, come nel caso di don Livio, il sacerdote si occupa di minori a rischio, anche in convenzione con il servizio pubblico: «se avessero avuto una denuncia in mano, forse le istituzioni ci avrebbero pensato due volte ad affidargli dei ragazzini», chiosa don Vitaliano.

Andrea, intanto, ha lasciato gli amici e a calcio non parla con nessuno. «È sempre da solo, gli sta montando la rabbia», dice il padre, desolato. «Il ragazzo ha subito un’esperienza di abuso continuativa che il sacerdote ha qualificato come amore – spiega lo psichiatra Egidio Errico, che ha fatto una perizia su richiesta dell’avvocato Falci – i danni, già evidenti, purtroppo tenderanno a peggiorare con il tempo».

Il processo a don Livio Graziano è nella fase dibattimentale: l’imputazione è violenza sessuale, secondo l’articolo 609 bis del codice penale, aggravata dal fatto di essere stata commessa a danno di un minore di 14 anni; l’imputato rischia da sei a dodici anni di reclusione. «La pm ha chiesto il giudizio immediato perché l’imputato è detenuto e per l’evidenza della prova – spiega l’avvocato Falci – per il momento chiediamo i danni al sacerdote, poi valuteremo se rivolgerci anche alla curia per non aver vigilato sul suo comportamento». Lo scorso dicembre don Graziano è uscito dal carcere in seguito a uno sciopero della fame e ora si trova agli arresti domiciliari in una struttura di proprietà della Chiesa. È stato sospeso dal ministero sacerdotale e il Tribunale ecclesiastico ha avviato un processo a suo carico, che procede su un binario parallelo e indipendente da quello dello Stato. 

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