Così la chiesa assolve e copre il prete pedofilo sotto falso nome

Di Federica Tourn

Domani, 4 settembre 2022

Settima puntata dell’ampia inchiesta che Federica Tourn sta conducendo per il quotidiano Domani sugli abusi all’interno della chiesa cattolica in Italia.

Quante facce può avere un prete? Quante vite, con la tacita complicità di chi lo circonda? Sicuramente più di un’identità, come dimostra l’incredibile storia di don Silverio Mura. Il prete, pedofilo, ha viaggiato in questi anni lungo la penisola coperto e assecondato dalle autorità ecclesiastiche, avvalendosi per un periodo persino di un falso nome: una vicenda che sarebbe grottesca se non fosse innanzitutto tragica. Ancora oggi, nonostante sia sotto processo per sostituzione di persona e una sentenza del 2021 certifichi gli abusi commessi a danno di un minore, è ancora un sacerdote della diocesi di Napoli ma non viene reso noto dove eserciti attualmente il suo ministero.

Don Silverio, 63 anni, nel 2010 è accusato da Arturo Borrelli, oggi ultraquarantenne, di averlo ripetutamente stuprato quando era ragazzino: i fatti risalgono a trent’anni fa, dunque il reato in sede penale è ormai prescritto; tuttavia lo scorso novembre il Tribunale civile di Napoli ha riconosciuto alla vittima un risarcimento di oltre 320mila euro per i danni conseguenti agli abusi sessuali. Con una sentenza di primo grado che riconosce attendibile il racconto di Borrelli, il tribunale ha condannato in solido il prete e il Miur, il Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, perché l’adescamento è avvenuto nella scuola media del quartiere napoletano Ponticelli, dove all’epoca don Mura era insegnante di religione e Arturo un allievo di terza.

Diventato adulto, Borrelli comincia a soffrire di svenimenti e attacchi di panico. Nel 2009 ha un malore sul lavoro: «mi sentivo morire e ho confessato tutto a mia moglie e a mia madre», spiega. L’anno successivo inizia il calvario delle denunce: si rivolge ai carabinieri ma il reato è ormai prescritto; chiede un incontro con il cardinale Crescenzio Sepe, all’epoca arcivescovo di Napoli, ma non ottiene risposta, soltanto una busta con 250 euro consegnata a mano da due emissari della Caritas. Riesce ad avere un colloquio con il vescovo ausiliare Lucio Lemmo, ma senza esito. Una prima indagine viene comunque svolta dal vicario generale e, anche se non riscontra prove di abusi, la curia concorda con il prete un periodo sabbatico in una comunità religiosa fuori dalla diocesi. In realtà don Mura continua a insegnare religione ai ragazzi: prima all’alberghiero di Cicciano, a pochi chilometri da Napoli e poi, nel 2013, in una scuola media del capoluogo. Esasperato, Borrelli nel 2014 torna alla carica chiedendo un risarcimento alla curia di Napoli; scrive anche a papa Francesco, che gli risponde assicurandogli che si occuperà del caso. A quel punto la Congregazione per la dottrina della fede, che si occupa di sanzionare i delitti del clero contro i minori, affida all’arcidiocesi di Napoli l’incarico di svolgere l’investigatio previa su don Mura, che terminerà due anni dopo con la decisione di non procedere con un processo penale canonico per mancanza di «elementi sufficienti».

Borrelli, sempre più frustrato, minaccia di suicidarsi con un colpo di pistola davanti alla sede della curia se non avrà giustizia: come unico risultato, perde il lavoro di guardia giurata. Intanto, don Silverio Mura, formalmente in ritiro in una comunità religiosa, si sta in realtà preparando alla sua seconda vita. Nel 2016 infatti si presenta con il nome di Saverio Aversano a padre Simone Baggio, parroco di Montù Beccaria, un piccolo centro di 1600 anime sulle colline pavesi. È accompagnato dall’ex parroco del paese, padre Egidio Pittiglio, all’epoca superiore generale dei Missionari della Divina Redenzione, la stessa congregazione a cui don Silverio era stato affidato nel 2010, al momento della prima accusa di Borrelli.

A don Silverio, alias Saverio Aversano (il cognome della madre), viene assegnata la cura dell’oratorio e il catechismo dei bambini. Nessuno a Montù si sarebbe forse mai accorto della sua falsa identità se non fosse stato per una puntata delle Iene, che il 7 marzo 2018 manda in onda proprio un servizio sul caso di Borrelli e don Mura. Don Silverio viene riconosciuto da una parrocchiana e in breve la notizia si sparge. Anche troppo, dato che quando le madri dei piccoli del catechismo si presentano alla lezione per fronteggiare il sacerdote, questi si è già dato alla macchia. Interrogati dai genitori, padre Baggio (anche lui un missionario della Divina Redenzione) e il vescovo Vittorio Viola, alla cui diocesi appartiene la comunità di Montù Beccaria, cadono dalle nuvole. «Il parroco ci disse che lo aveva incaricato del catechismo perché si stava riprendendo da un esaurimento nervoso e doveva stare tranquillo», racconta Elena (nome di fantasia), madre di uno dei bambini del catechismo della parrocchia di Montù. «A fare da tramite era stato padre Pittiglio – continua Elena – non è un caso che proprio Pittiglio si sia precipitato a Montù dalla Campania quando il prete pedofilo è stato riconosciuto».

Intanto a Napoli spunta un’altra presunta vittima, Raffaele Esposito, un uomo di qualche anno più giovane di Borrelli, che sostiene di essere stato anche lui abusato da don Mura quando era bambino. Di fronte a tanto clamore, la macchina ecclesiastica si mette in moto e, come si legge in una nota della curia arcivescovile di Napoli, impone le misure cautelari al sacerdote a partire dal 15 maggio 2018. Anche la Congregazione per la dottrina della fede torna sul caso, affidando al Tribunale Ecclesiastico Metropolitano di Milano la celebrazione di un processo penale giudiziale a carico di don Mura, «per valutare eventuali responsabilità dell’accusato» in tema di violenza su minori. Processo che si concluderà il 1° marzo 2019 con l’assoluzione (e il pieno reintegro) del prete perché, si legge nel dispositivo della sentenza, non si ravvisano «elementi veramente solidi che consentano di ritenere provate le accuse mosse al reverendo sacerdote Silverio Mura». Per l’autorità ecclesiastica non è colpevole. «Il processo è stato fatto senza ascoltare le vittime – protesta però Arturo Borrelli – Esposito e io non siamo mai stati sentiti a Milano».

Per la Chiesa la questione è chiusa ma, come abbiamo visto, c’è una sentenza del tribunale civile che di fatto riconosce Mura colpevole di abuso: «per arrivare alla condanna bisognava infatti pervenire all’accertamento del reato, confermando metodi e circostanze della violenza subita – specifica l’avvocato di Borrelli, Carlo Grezio – le prove testimoniali e scientifiche convalidano la versione di Borrelli». Ora è in corso il processo di appello, ma sono tante le domande ancora senza risposta: chi faceva recapitare a Montù Beccaria le lettere a don Mura sotto il falso nome di don Aversano? Come facevano i vescovi, a Napoli e a Tortona, a non conoscere le modalità di trasferimento di un sacerdote da una diocesi ad un’altra? Chi ha agevolato l’ennesima fuga del prete e, soprattutto, dov’è oggi il pedofilo don Silverio?

Le gerarchie ecclesiastiche, ripetutamente interpellate da Domani, non rispondono. Non risponde il cardinale Crescenzio Sepe, né l’attuale vescovo di Napoli Domenico Battaglia; in curia non è stato possibile rintracciare nemmeno uno dei tre vicari generali e padre Egidio Pittiglio, raggiunto al telefono, si è rifiutato di parlare. Padre Simone Baggio è all’estero, irreperibile, e il suo confratello Mirko Mazzoleni, che lo sostituisce in parrocchia, ha sostenuto di non essere al corrente dei fatti perché arrivato da poco in paese – anche se in realtà risulta al servizio della comunità da più di dieci anni. Dal canto suo, l’ex sindaco Amedeo Quaroni afferma di aver sempre saputo che il vero nome di don Saverio era Silverio Mura: «ho tenuto i suoi documenti per dieci giorni in Comune, ha anche votato per il referendum consultivo del 2017», dice. Niente di strano, secondo Quaroni: «non è l’unico a farsi chiamare con un nome di battesimo diverso». Ma il cognome? «Di quello non sapevo niente».

Un muro di silenzio si oppone anche alle legittime preoccupazioni dei fedeli. Le madri dei bambini di Montù Beccaria, dopo la fuga di don Mura dal paese, si erano rivolte persino a Sepe e avevano ricevuto soltanto una generica rassicurazione sul proseguimento delle indagini su un prete che – scrive il cardinale in risposta alla mail di Elena del maggio 2018 – «certamente non è stato lasciato libero, allora come oggi, di girare per l’Italia e svolgere senza controllo il ministero sacerdotale». Quindi la curia, come era facilmente immaginabile, sapeva degli spostamenti del sacerdote e della sua doppia identità, così come è difficile non pensare a una complicità dei Missionari della Divina Redenzione, che da anni gestiscono la comunità parrocchiale di Montù. Le responsabilità saranno comunque accertate dal procedimento penale che si è aperto lo scorso ottobre a carico di don Mura davanti al Tribunale di Pavia per il reato di sostituzione di persona. «Sepe ha sempre fatto di tutto per insabbiare il caso», rincara da parte sua Arturo Borrelli, che ha provato diverse volte a farsi ricevere dal cardinale. Nel 2016 l’aveva anche denunciato «per grave negligenza nell’esercizio del proprio ufficio» in una lettera al prefetto del Dicastero per i vescovi, il cardinale Marc Ouellet, anche lui recentemente coinvolto nella bufera degli abusi sessuali nella Chiesa. Ironia della sorte, o ennesimo ingrediente di una romanzo criminale che è ancora ben lontano dalla parola fine.

Foto di Marco Ober

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È nei seminari che la chiesa deve fare i conti con il suo lato oscuro

Di Federica Tourn

Domani, 7 ottobre 2022

Sesta puntata dell’ampia inchiesta che Federica Tourn sta conducendo per il quotidiano Domani sugli abusi all’interno della chiesa cattolica in Italia.

Un ragazzino di tredici anni scappa dalla finestra del Seminario vescovile di Savona, dove era entrato tre anni prima pieno di entusiasmo all’idea di diventare sacerdote. Siamo nel 1968, il grande istituto dove studiano i candidati al presbiterato accoglie ragazzi che vanno dalla prima media alla specializzazione in filosofia e teologia; il rettore è don Andrea Giusto, un prete gioviale e apprezzato dagli studenti. Eppure, qualcosa non va. Tornato a casa, Alessandro Nicolick – questo il nome del bambino – è taciturno e nervoso ma non vuole dare spiegazioni. Una volta adolescente comincia a far uso di eroina, diventa tossicodipendente e finisce in carcere, dove si ammala di Aids. «In ospedale, poco prima di morire, mi ha raccontato di essere stato abusato quando era in Seminario da un prefetto di camera, un seminarista più anziano che assisteva i piccoli, Pietro Pinetto», denuncia il fratello Roberto.

Don Pinetto, morto l’anno scorso di Covid, nel 1972 era stato nominato vice rettore del Seminario vescovile e nel 1981 ne era diventato anche direttore spirituale. Nel 2013, quando era parroco della chiesa di San Michele a Celle Ligure (Savona), viene però denunciato da un ex altro seminarista, che dichiara di essere stato abusato da lui negli anni ’70, ma il procedimento è archiviato perché il fatto è ormai prescritto. Il sacerdote, però, querela per diffamazione e calunnia la presunta vittima, due giornalisti locali e Francesco  Zanardi, presidente della Rete l’Abuso.

A quel punto, il colpo di scena: viene riaperta l’indagine e spuntano altre testimonianze, «comprese le segnalazioni fatte all’allora vescovo di Savona Franco Sibilla, che non intervenne, e che aprono il vaso di Pandora degli abusi sui minori nella chiesa savonese, più preoccupata di proteggere i responsabili che di evitare nuove vittime», commenta oggi Zanardi. La gip Fiorenza Giorgi, infatti, nelle motivazioni del decreto di archiviazione del procedimento per calunnia a don Pinetto pubblicate dal Secolo XIX, evidenzia che le indagini hanno fatto emergere elementi di prova che «confermano gli abusi» nel Seminario e rileva che «la curia si è preoccupata di salvare le apparenze invece di pensare a quei ragazzi che, tra l’altro, rappresentavano il futuro della chiesa stessa». Continua a leggere “È nei seminari che la chiesa deve fare i conti con il suo lato oscuro”

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Il fuoco pedofilo sotto la cenere dei focolari di Chiara Lubich

Di Federica Tourn

Domani, 25 luglio 2022

Quinta puntata dell’ampia inchiesta che Federica Tourn sta conducendo per il quotidiano Domani sugli abusi all’interno della chiesa cattolica in Italia.

È il 3 gennaio 2021 e la Rai programma in prima serata la fiction L’amore vince tutto sulla figura di Chiara Lubich, la maestra di Trento che sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale decide di consacrarsi all’amore per Dio fondando una comunità ecclesiale di laici cattolici, il movimento dei Focolari. Nessuna ombra, neanche una nota dissonante. Eppure, negli stessi giorni, la società Gcps Consulting, incaricata dai vertici del movimento, sta cominciando a investigare sulle denunce di abuso sessuale a carico di Jean-Michel Merlin, un membro con ruoli apicali in Francia e che, con 37 vittime accertate, verrà definito un «abusatore seriale di minori» che ha goduto della copertura del movimento.

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Enna, storia del prete pedofilo tenuto coperto da due vescovi

Di Federica Tourn

Domani, 3 luglio 2022

Quarta puntata dell’ampia inchiesta che Federica Tourn sta conducendo per il quotidiano Domani sugli abusi all’interno della chiesa cattolica in Italia.

A Enna è già tutto pronto per la cerimonia solenne di insediamento nella chiesa di San Cataldo, ma qualcosa manda a monte la festa per il nuovo parroco, don Giuseppe Rugolo: la presa di possesso avviene in sordina per decisione del vescovo e don Giuseppe per il dispiacere finisce addirittura in ospedale. Siamo a novembre 2018, e quello che sembra soltanto un intoppo nella brillante carriera di un prete molto popolare, leader indiscusso di un gruppo giovanile che conta più di duecento ragazzi, è invece il preludio di uno scandalo che culminerà più di due anni dopo con l’accusa di violenza sessuale su tre minori, secondo gli articoli 81 e 609 del codice penale. A denunciare è un giovane, Antonio Messina, all’epoca dei primi abusi appena sedicenne; durante l’inchiesta vengono individuati altri due minorenni vittime del prete. La gip Luisa Maria Bruno al momento dell’arresto dispone i domiciliari per il rischio della reiterazione del reato e la tendenza dell’indagato «a cedere alle pulsioni sessuali in maniera incondizionata».

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Bolzano, i primi a indagare ma anche i primi a insabbiare

Di Federica Tourn

Domani, 13 giugno 2022

Terza puntata dell’ampia inchiesta che Federica Tourn sta conducendo per il quotidiano Domani sugli abusi all’interno della chiesa cattolica in Italia.

Quando apre la porta ai carabinieri, don Livio non sospetta nulla. Conosce già quella coppia, venuta a chiedere informazioni per mandare il figlio nella comunità “Effatà Apriti” che il sacerdote gestisce a Prata Principato Ultra, in provincia di Avellino. Invece si tratta della copertura di un’indagine per violenza sessuale ai danni di un bambino di dodici anni e per don Livio Graziano, 56 anni, scatta l’arresto: l’ordine di custodia cautelare viene firmato il 22 ottobre scorso dalla gip del tribunale di Avellino Francesca Spella. Quattro giorni dopo, la sede della comunità è perquisita: «nell’armadietto del bagno vengono trovati preservativi, vaselina e lubrificanti, oltre a 107mila euro in due scatole chiuse a chiave», afferma l’avvocato Giovanni Falci, che assiste il padre della vittima – i genitori, infatti, si sono costituiti parte civile in proprio e in rappresentanza del figlio minorenne.

Originario della provincia di Caserta, don Livio è un prete sui generis. Le sue messe sono perturbanti, pervase da spirito carismatico: impone le mani e i fedeli si accasciano a terra, i malati vanno da lui per essere guariti. È anche un educatore: si dedica ai bambini senza famiglia, va nelle periferie per cercare chi è rimasto ai margini. Nel 2002 fonda ad Avellino la Fidde, Fraternità i Discepoli di Emmaus, una onlus che in breve tempo si ramifica in tutta la regione, aprendo ambulatori, attività per disabili, gruppi di auto aiuto per chi soffre di ansia, ludopatie, disforie di genere. A Castel Volturno dal 2004 al 2020 il sacerdote gestisce anche una comunità educativa a gestione famigliare, dove accoglie decine di ragazzi in difficoltà. 

Nel 2015 la onlus si costituisce in cooperativa sociale con il nome di Effatà Apriti, specializzata in problemi alimentari e convenzionata con il Servizio sanitario nazionale e con il Tribunale di Avellino, un progetto che sta particolarmente a cuore a don Livio perché, come confessa in un’intervista a Repubblica, lui stesso ha sofferto a lungo di bulimia e anoressiaFra i vari ambiti della missione del versatile sacerdote c’è anche, tragica ironia, la lotta contro la pedofilia: nel 2012, infatti, don Livio partecipa come esperto a un convegno sulla pedopornografia patrocinato dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Benevento, con un intervento sul “recupero del minore vittima di abusi”. Per il suo impegno sociale e umanitario, due anni dopo riceve addirittura il premio “Padre Pio da Pietrelcina”.

Andrea (nome di fantasia) ha una famiglia normale; va a scuola, ha la passione per il calcio e da tifoso del Napoli sogna di incontrare Insigne. Da un rapporto con un coetaneo si prende un’infezione e i genitori, disorientati, lo indirizzano proprio a don Livio, nella speranza che possa aiutarlo a mettere ordine nei suoi turbamenti preadolescenziali. Andrea resterà per tutta l’estate 2021 nella grande casa di Prata Principato Ultra, dormendo su un materasso ai piedi del prete: secondo quanto racconta il padre del ragazzo, dopo solo cinque giorni dal suo arrivo don Livio abusa di lui con il pretesto di “visitarlo”. «Le violenze da quel momento si ripeteranno per tutto il periodo della sua permanenza nella comunità», conferma l’avvocato Falci.

Il programma della “rieducazione di Andrea” è organizzato in una rigida griglia di impegni giornalieri, monitorata da un’équipe di specialisti. «Don Livio mi aggiornava su come proseguiva il soggiorno e mi mandava foto del ragazzo impegnato in diverse occupazioni», racconta il padre. Ma è soltanto una messinscena: «mio figlio mi ha detto in seguito che il prete lo metteva in posa apposta per le foto». Nella relazione finale consegnata ai genitori, si legge che Andrea è molto migliorato e «mostra una serenità e una pace interiore. Quella serenità che è la scoperta di esserci, di vivere l’istante intensamente».

A settembre, Andrea torna a casa. «Mi sono insospettito perché mio figlio era silenzioso e se ne stava sempre in disparte con il telefono – racconta il padre – gli ho chiesto a chi scrivesse continuamente e mi ha risposto: “a padre Livio, se non gli rispondo subito poi mi stressa”». Dalla chat fra i due, racconta il padre, vengono fuori centinaia di messaggi: quelli del prete sono incalzanti, si lamenta che il ragazzino non lo considera, che senza di lui la sua vita non ha più senso. Don Livio è inarrestabile, non cerca nemmeno di essere prudente: manda whatsapp a tutte le ore, anche di notte, pieni di chioccioline che – gli spiega Andrea – significano “ti amo”. «Gli scriveva anche mentre celebrava la messa – sottolinea sempre il padre – Durante il soggiorno estivo gli aveva anche fatto regali costosi: un iphone 12, un orologio, un Apple smart watch». Segno inequivocabile del delirio di onnipotenza in cui vive il sacerdote che, mentre fa la parte dell’amante con un bambino, sciorina su Facebook massime sull’amore e l’accettazione di sé, sostenuto dall’adorazione e dagli emoticon dei suoi seguaci. La storia di don Livio rappresenta bene la convinzione dell’impunità radicata nei preti abusanti, che scivolano indisturbati fra adescamenti ed esercizi spirituali, al riparo di gerarchie che perlopiù giocano a scaribarile sulle spalle delle vittime.

Secondo quanto riportano i legali della famiglia, il prete dava anche dei soldi al ragazzino in cambio di prestazioni sessuali. «Durante l’esame del contenuto dell’iphone di don Livio sono emerse alcune fotografie di Andrea mentre dorme, in pose inequivocabili – dichiara l’avvocata della madre della vittina, Benedetta Falci – foto cancellate dal sacerdote ma recuperate dagli inquirenti nella memoria dei file eliminati». 

La Chiesa, alla notizia dell’arresto, prende le distanze. La diocesi di Aversa, a cui il sacerdote appartiene, diffonde un comunicato stampa in cui dice che don Livio da ormai molti anni operava fuori dalla diocesi. Monsignor Arturo Aiello, vescovo di Avellino dal 2017, a sua volta alza le mani e rimpalla la questione al suo predecessore, monsignor Francesco Marino, che a più riprese aveva chiesto al sacerdote di non esercitare il ministero pastorale nel territorio diocesano. 

Marino conferma, spiegando che l’attività terapeutica di don Graziano lo preoccupava: «agiva in maniera autocefala e senza controllo – sottolinea il vescovo – questa situazione a me non convinceva, sia perché sganciata da ogni riferimento ecclesiale, sia perché in campi tanto delicati ci sarebbe stato bisogno di discernimento e competenza, che a me non risultava lui avesse». «Ero convinto – rincara l’ex vescovo di Avellino – che agisse senza averne effettiva capacità; lui stesso non mi sembrava avere un retroterra psicologico personale equilibrato e adeguato». 

Dubbi, chiacchiere sul conto del prete non mancano, ma denunce esplicite non arrivano, specifica monsignor Marino, che non manca di sottolineare come don Graziano operasse comunque sotto la responsabilità del vescovo di Aversa, Angelo Spinillo. Dal canto suo, Spinillo ribadisce che il prete da ormai quindici anni manteneva con la sua diocesi «un rapporto molto occasionale». «Il mio giudizio – afferma monsignor Spinillo –  era che che non riuscisse a vivere l’attività che sviluppava come un vero apostolato, ma piuttosto quasi come ricerca di un’affermazione di sé».

Il suo predecessore, il vescovo Mario Milano, però, aveva ingiunto a don Livio un periodo di discernimento e di recupero spirituale nella comunità monastica di Montevergine. Don Vitaliano Della Sala, vicedirettore della Caritas di Avellino, che ha conosciuto il sacerdote proprio a Montevergine, lo ricorda come una specie di santone: «padre Livio incoraggiava la superstizione della gente e a volte ho avuto l’impressione che confondesse la fede con la magia». «Che io sappia è stato allontanato da Aversa per sospetti di pedofilia – precisa don Vitaliano – purtroppo i vescovi in questi casi, invece di fare un’indagine seria e interrompere subito ogni rapporto fra il prete e i ragazzi, lo trasferiscono da un’altra parte aggravando il problema». 

Proprio la diocesi di Aversa è stata teatro di diversi casi di abuso: lo stesso vescovo Milano, dice ancora don Vitaliano, nel 2011 era stato costretto a dare le dimissioni a pochi mesi dal pensionamento proprio per avere spostato un altro prete sospettato di pedofilia. Decisioni che hanno conseguenze drammatiche, tanto più se, come nel caso di don Livio, il sacerdote si occupa di minori a rischio, anche in convenzione con il servizio pubblico: «se avessero avuto una denuncia in mano, forse le istituzioni ci avrebbero pensato due volte ad affidargli dei ragazzini», chiosa don Vitaliano.

Andrea, intanto, ha lasciato gli amici e a calcio non parla con nessuno. «È sempre da solo, gli sta montando la rabbia», dice il padre, desolato. «Il ragazzo ha subito un’esperienza di abuso continuativa che il sacerdote ha qualificato come amore – spiega lo psichiatra Egidio Errico, che ha fatto una perizia su richiesta dell’avvocato Falci – i danni, già evidenti, purtroppo tenderanno a peggiorare con il tempo».

Il processo a don Livio Graziano è nella fase dibattimentale: l’imputazione è violenza sessuale, secondo l’articolo 609 bis del codice penale, aggravata dal fatto di essere stata commessa a danno di un minore di 14 anni; l’imputato rischia da sei a dodici anni di reclusione. «La pm ha chiesto il giudizio immediato perché l’imputato è detenuto e per l’evidenza della prova – spiega l’avvocato Falci – per il momento chiediamo i danni al sacerdote, poi valuteremo se rivolgerci anche alla curia per non aver vigilato sul suo comportamento». Lo scorso dicembre don Graziano è uscito dal carcere in seguito a uno sciopero della fame e ora si trova agli arresti domiciliari in una struttura di proprietà della Chiesa. È stato sospeso dal ministero sacerdotale e il Tribunale ecclesiastico ha avviato un processo a suo carico, che procede su un binario parallelo e indipendente da quello dello Stato. 

Il senso di impunità del prete e lo scaricabarile del vescovo

Di Federica Tourn

Domani, 23 maggio 2022

Seconda puntata dell’ampia inchiesta che Federica Tourn sta conducendo per il quotidiano Domani sugli abusi all’interno della chiesa cattolica in Italia.

Quando apre la porta ai carabinieri, don Livio non sospetta nulla. Conosce già quella coppia, venuta a chiedere informazioni per mandare il figlio nella comunità “Effatà Apriti” che il sacerdote gestisce a Prata Principato Ultra, in provincia di Avellino. Invece si tratta della copertura di un’indagine per violenza sessuale ai danni di un bambino di dodici anni e per don Livio Graziano, 56 anni, scatta l’arresto: l’ordine di custodia cautelare viene firmato il 22 ottobre scorso dalla gip del tribunale di Avellino Francesca Spella. Quattro giorni dopo, la sede della comunità è perquisita: «nell’armadietto del bagno vengono trovati preservativi, vaselina e lubrificanti, oltre a 107mila euro in due scatole chiuse a chiave», afferma l’avvocato Giovanni Falci, che assiste il padre della vittima – i genitori, infatti, si sono costituiti parte civile in proprio e in rappresentanza del figlio minorenne.

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Intervista a Manlio Milani – Strage Piazza della Loggia

L’intervista di Claudio Geymonat a Manlio Milani, presidente dell’Associazione “Vittime strage di Piazza della Loggia”. Una eccezionale testimonianza di chi da 50 anni si batte per la verità e la giustizia, realizzata nell’ambito del progetto culturale “Sotto i fanali l’oscurità” dedicata all’analisi della stagione nota come della “Strategia della tensione”

La pedofilia dei preti italiani che i vescovi vogliono tenere nascosta

Di Federica Tourn

Domani, 28 aprile 2022

Sappiamo tutto di ciò che è accaduto nel mondo, nulla sull’Italia. Eppure negli ultimi 15 anni si contano 325 sacerdoti denunciati per pedofilia. Ecco l’inchiesta per la quale il quotidiano Domani chiede il sostegno dei lettori: SOSTIENI LA SUA REALIZZAZIONE! Per ogni euro versato, Domani ne aggiungerà un altro fino al raggiungimento dell’obiettivo

Lo chiamavano don Mercedes. A Crema era un pezzo grosso di Comunione e Liberazione il parroco   Mauro Inzoli; gli piacevano il lusso e le belle macchine, lo si vedeva spesso nei ristoranti alla moda, un sigaro cubano all’angolo della bocca. Aveva amicizie politiche importanti e poco senso del pudore: nel gennaio 2015 applaudiva insieme a Roberto Formigoni al convegno sulla famiglia tradizionale organizzato dalla Regione Lombardia, eppure già da anni molestava i ragazzini, come conferma la condanna definitiva per pedofilia del 2018. Li toccava persino durante la confessione, per rinnovare l’alleanza fra Abramo e Isacco descritta nell’Antico Testamento, diceva. La più piccola delle sue vittime aveva 12 anni.

Una storia non certo unica. Secondo i dati raccolti dalla Rete L’Abuso, che monitora i casi di violenza sessuale nella Chiesa cattolica, nel nostro paese negli ultimi 15 anni si contano 325 sacerdoti denunciati per pedofilia, di cui 161 condannati in via definitiva. Questi numeri rappresentano solo piccola parte di un fenomeno sommerso e pervasivo, eppure non sembrano scuotere le istituzioni e la stampa. Ed è questa la ragione per cui chiediamo ai lettori di sostenere attraverso il nostro sito editorialedomani.it la grande inchiesta su “La violenza nella Chiesa italiana”.

Nel paese che ospita il Vaticano, infatti, né il Parlamento né la Chiesa prendono iniziative per andare a fondo del problema. Il presidente della Conferenza episcopale Gualtiero Bassetti butta acqua sul fuoco assicurando che in Italia gli strumenti messi in campo a tutela dei minori funzionano bene e che presto sugli abusi sarà condotta un’indagine ma, sia chiaro, «gestita dall’interno della Chiesa». La società civile, però, non ha più voglia di aspettare: di fronte al silenzio ecclesiastico si è costituito Italy Church Too, un coordinamento di associazioni contro gli abusi nella Chiesa, che chiede subito una commissione d’inchiesta indipendente, come quelle che si sono appena formate in Spagna e in Portogallo. L’iniziativa nasce da donne impegnate in ambito cattolico e laico, determinate a rompere anche nel nostro paese il muro di omertà e a ottenere giustizia e risarcimenti per le vittime: sono scesi in campo l’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne, Donne per la Chiesa, Noi siamo Chiesa, Rete L’Abuso, Comitato vittime e famiglie, Voices of Faith, Comité de la Jupe, le Comunità cristiane di base e i periodici Adista, Tempi di Fraternità e Left. Tra loro anche Erik Zattoni, figlio di un prete (anche) pedofilo mai ridotto allo stato laicale nonostante l’esame del dna e le sue ammissioni.

L’idea ha preso vigore dallo scandalo che all’inizio dell’anno ha coinvolto persino il papa emerito Benedetto XVI: un report dalla Baviera ha infatti rivelato che nella sola diocesi di Monaco e Frisinga, nell’arco di 74 anni sarebbero stati abusati 500 bambini e bambine fra gli 8 e i 14 anni e che Joseph Ratzinger, da cardinale, ne sarebbe stato al corrente. I dati di Monaco seguono quelli, talmente eclatanti da suscitare dubbi, del rapporto della commissione indipendente sugli abusi nella chiesa francese: dal 1950 si conterebbero 216 mila minori vittime di tremila preti, a cui si aggiungono altri 114 mila abusati da laici all’interno delle istituzioni ecclesiastiche. In Nuova Zelanda la pedofilia riguarderebbe addirittura il 14 per cento del clero.

La questione non è certo nuova: dallo scoop del Boston Globe, celebrato nel 2015 dal film “Il caso Spotlight”, che nel 2002 ha inchiodato la chiesa americana alle sue responsabilità, fino al Rapporto Ryan in Irlanda, che ha individuato ben 30 mila minori abusati negli oltre cento istituti cattolici nel paese, sono almeno vent’anni che la pentola è stata scoperchiata. L’Italia però rimane un buco nero. Le denunce vengono ignorate dalla Chiesa e le vittime finiscono inghiottite dal silenzio. Una storia simbolo è quella dell’Istituto religioso per sordomuti Provolo di Verona: nel 2010 67 ex ospiti  accusano numerosi sacerdoti della congregazione di averli sottoposti a molestie e violenze quando erano bambini, a partire dagli anni ’50. Tra i fatti denunciati c’è la dichiarazione di Gianni Bisoli, che afferma di essere stato abusato tra i 9 e i 15 anni da ben 16 fra preti e fratelli laici; sostiene anche di essere stato lasciato “a disposizione” di monsignor Giuseppe Carraro, all’epoca vescovo di Verona, e per il quale, a 32 anni dalla morte, è in corso il processo di beatificazione, dopo che nel 2015 è stato dichiarato “venerabile per l’eroicità della sua virtù” dalla Congregazione per le cause dei santi. Una commissione conoscitiva promossa dal Vaticano nello stesso 2010 non rileva (quasi) nulla dei reati denunciati, ormai comunque prescritti. Ma il responsabile dell’Istituto, don Nicola Corradi, trasferito nella sede argentina del Provolo, nel 2019 verrà condannato laggiù a 42 anni «per gravi e ripetuti abusi» di minori.

I pedofili nella chiesa non sono “mele marce” come dicono le gerarchie ecclesiastiche. Quando si mettono insieme i tasselli del mosaico, dispersi nelle cronache locali e poi dimenticati, emerge un quadro di violenza endemica che riguarda ogni ambito della vita della Chiesa. Troviamo preti che approfittano del loro potere per allungare le mani sui ragazzini in sacrestia, durante le lezioni di catechismo o le prove del coro, in campeggio o nei centri estivi; alcuni sono guru di comunità di recupero e centri di ascolto, altri guidano scuole cattoliche. Molti sono i molestatori seriali in attesa di giudizio per induzione alla prostituzione minorile e violenza privata: sacerdoti che promettono cocaina in cambio di prestazioni sessuali e offrono pochi spiccioli e una ricarica del telefono in cambio di una marchetta o di un video hard. Con i cassetti o i pc pieni di materiale pedopornografico, circuiscono ragazzini non ancora adolescenti, meglio se con problemi psichici o provenienti da famiglie disagiate perché più indifesi: fanno loro credere che la mano che li fruga è una mano benedetta, che l’amore di Dio si esprime con lo spirito e con il corpo, che sono dei privilegiati. Gli stupri non di rado si protraggono per anni, a volte anche per decenni, lasciando segni indelebili nelle vittime, costrette spesso a fare i conti con le conseguenze fisiche e psicologiche delle violenza per il resto della vita.

E la Chiesa istituzionale come reagisce? Cura, sostiene, protegge. Non le vittime ma i preti. La prassi consolidata quando viene segnalato un caso di pedofilia è sempre la stessa: non denunciare alle autorità ma evitare lo scandalo spostando il prete in un’altra parrocchia o ricoverandolo per un periodo in una delle inavvicinabili strutture per la riabilitazione dei preti sparse per l’Italia. Le autorità ecclesiastiche non hanno l’obbligo giuridico di denunciare gli abusi, tantomeno devono rendere conto degli esiti dei processi interni, così si trincerano dietro al silenzio. C’è addirittura chi, dopo una denuncia per pedofilia, riprende a fare il parroco sotto falso nome in un altro posto, come don Silverio Mura, prete della diocesi di Napoli, diventato don Saverio Aversano a Montù Beccaria, in provincia di Pavia. Lo denuncia la Rete L’Abuso nell’esposto in cui spiega che il sacerdote viene trasferito dopo una querela per pedofilia e che, grazie alla complicità della curia, continua a occuparsi di bambini e a ricevere la posta al nuovo indirizzo. La stessa associazione sottolinea che sono almeno 29 i vescovi coinvolti nell’occultamento dei reati: nel caso di don Giuseppe Rugolo, per esempio, dalle intercettazioni emerge che il vescovo di piazza Armerina Rosario Gisana avrebbe provato a comprare il silenzio della famiglia della vittima con i soldi della Caritas. Ancora: monsignor Mario Delpini, oggi arcivescovo di Milano, informato delle attenzioni che uno dei suoi parroci, don Mauro Galli, riserva a un ragazzo di 15 anni, ammette in interrogatorio di essersi limitato a spostarlo di sede per ben due volte. Il prete di Rozzano è stato condannato l’anno scorso dalla Corte d’Appello di Milano a cinque anni e sei mesi; il suo caso è stato anche posto all’esame della Congregazione per la dottrina della fede, dopo che il processo di primo grado al Tribunale ecclesiastico regionale si era risolto con un nulla di fatto per insufficienza di prove ma a oggi nulla si sa dell’esito. Scontato il debito con la giustizia dello Stato, don Galli potrebbe quindi tornare in parrocchia.

Non ci sono soltanto gli abusi sui minori ma anche quelli sulle religiose. Già a metà degli anni ’90 due suore di ritorno dall’Africa inviano al Vaticano rapporti in cui sostengono che molte suore vengono stuprate da sacerdoti timorosi di prendere l’Aids dalle donne indigene; e se restano incinte vengono costrette ad abortire. Raccontano anche di un prete che officia il funerale di una donna morta in seguito all’aborto che lui stesso le ha procurato. Nel documento si sottolinea che la violenza sulle religiose non è soltanto una questione africana ma riguarda ben 23 paesi, fra cui l’Italia. In anni più recenti, la teologa Doris Wagner ha accusato il capo ufficio della Congregazione per la Dottrina della Fede padre Hermann Geissler (poi assolto dal Tribunale della Segnatura apostolica, il supremo tribunale di diritto canonico della Santa Sede) di averla violentata quando era suora dell’Opus Spiritualis Familia a Roma: «Ero giovane, credente e idealista: ero la vittima ideale per un prete», ricorda oggi. Dipendenti economicamente dalla congregazione a cui appartengono, costrette a tagliare i ponti con la famiglia, le suore sono schiacciate da un sistema clericale fondato sull’omertà; in Italia, chi prova a denunciare non ottiene nulla se non di essere discriminata o addirittura allontanata dalla comunità. Ancora una volta, in caso di una segnalazione di abuso, a venire protetto è il prete.

La Chiesa italiana, che è riuscita fino ad oggi a non reagire alla crisi che la minaccia dall’interno, rimanendo fedele a una casta maschile sorda ai richiami sulle discriminazioni di genere e restia a cedere parte del suo potere, come risponderà alla richiesta di istituire finalmente un’indagine indipendente sugli abusi? A fine maggio si terrà l’assemblea generale della Cei per il rinnovo dei vertici, e il cardinale Bassetti pare avere tutte le intenzioni di passare la patata bollente al suo successore.

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Il figlio è mio e lo istruisco io (lontano dalle scuole e a destra)

Di Federica Tourn

FQ Millennium, aprile 2022

Immagina di tornare bambino e di vivere in un mondo senza lunedì. Un mondo dove non suona la sveglia né la campanella, dove ti alzi quando vuoi e non esistono interrogazioni, compiti o note sul registro né banchi e tantomeno insegnanti in cattedra; un mondo dove giochi quanto vuoi, impari quello che ti piace e a settembre, quando tutti gli altri ritornano in classe, tu invece fai una grande festa di “Non rientro a scuola”. No, non è il paese dei balocchi di Pinocchio ma la realtà di ogni giorno per tanti bambini e ragazzi che, invece di andare a scuola, studiano a casa. 

Oltreoceano l’homeschooling è un’opzione considerata ormai quasi mainstream: negli Stati Uniti nel 2020-21 si sono registrati 3,7 milioni di studenti in istruzione parentale, 1,2 milioni in più rispetto alla primavera del 2019 (dati del National Home Education Research Institute) ed è in forte crescita anche in paesi come l’Australia, il Giappone o la Gran Bretagna. In Europa, disertare le aule è ancora vietato in alcuni paesi, come la Germania, la Svezia e (di recente) la Francia, ma da noi sta prendendo sempre più piede. In Italia negli ultimi due anni il numero è addirittura triplicato: secondo i dati del ministero dell’Istruzione, si è passati infatti dai 5.126 ragazzi che studiano fra le mura domestiche del 2018-2019 ai 15.361 del 2020-2021. Un balzo dovuto alla pandemia, che ha portato molte famiglie a ritirare i figli da scuola per paura del contagio e per evitare i disagi del distanziamento e della mascherina, ma che una convinta minoranza portava avanti già da tempo. I motivi possono essere diversi, ma alla base di questa scelta si trova sempre il desiderio di impartire un’educazione conforme ai princìpi della famiglia e una generale sfiducia nell’istituzione scolastica, considerata ottusa e repressiva: l’istruzione domestica, al contrario, permetterebbe ai bambini di crescere senza condizionamenti, liberi di assecondare la propria creatività. 

Nel nostro paese, non esiste formalmente l’obbligo ad andare a scuola: ad essere obbligatoria è l’istruzione, come sottolinea l’articolo 30 della Costituzione, e sono i genitori che decidono se demandare il compito a un’istituzione pubblica o privata o se occuparsene in prima persona. In questo caso, secondo l’art. 111 del Testo Unico in materia di istruzione per le scuole di ogni ordine e grado del 1994, devono soltanto dimostrare di averne la capacità tecnica ed economica e comunicarlo alle autorità competenti. Basta insomma notificare la decisione al dirigente scolastico del territorio di residenza e fornire la documentazione del programma svolto a casa alla scuola di competenza, che “vigila” sull’effettiva preparazione del minore. 

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Al rogo tutte le opere che educano alla diversità

Di Federica Tourn

FQ Millennium, settembre 2021

A Malmö, nel sud della Svezia, proprio un anno fa è stata inaugurata una biblioteca che non somiglia a nessun’altra. Sugli scaffali Ikea, ordinati e accuratamente catalogati, si trovano infatti soltanto libri che sono incappati nella censura o i cui autori sono stati perseguitati o costretti all’esilio. È la prima del genere al mondo e non a caso è dedicata a Dawit Isaak, scrittore svedese-eritreo che dal 2001 è incarcerato nel suo paese d’origine per aver osato criticarne il regime. Quattromila volumi, una parte riservata alle opere proibite e un’altra ai saggi che raccontano la storia della censura in tutto il pianeta. Un problema del passato? Tutt’altro: questa biblioteca non è un museo ma uno «spazio sicuro per le opere minacciate dall’oscurantismo», come ama definirlo la direttrice, Emelie Wislander. Infatti sono molte le autorità civili e religiose o i gruppi confessionali e le associazioni di genitori che ancora oggi vorrebbero impedire la divulgazione di libri considerati contrari a qualche principio politico o morale. «La libertà di pensiero è tuttora sotto attacco e non rendersene conto è pericoloso – conferma Wieslander – in particolare la censura dei libri è di nuovo in crescita ovunque, e non solo nei paesi non democratici».