Zona Disagio. Arcore, amore mio

di Claudio Geymonat

Sono forse un po’ deviato, ma vedere Patrizia De Blanck in televisione a me richiama sempre alla mente altre storie. Storie che sono tornate prepotentemente nei miei pensieri in questi giorni in cui l’intramontabile Silvio Berlusconi con una serie di telefonate alle trasmissioni di Fabio Fazio e Giovanni Floris ha compiuto, a dar retta alle cronache sdolcinate del giorno dopo, un ulteriore passo verso quel finale da Padre della Patria che l’ex cavaliere in fondo sogna da sempre. 

Il Quirinale è naufragato anni fa, ma un bell’ultimo giro di giostra da gran burattinaio non se lo vuole negare.

Oddio, la De Blanck a dire il vero c’entra proprio poco, se non nulla. Ma il caso ha voluto che il secondo marito della salottiera televisiva di cui sopra, l’amatissimo Giuseppe Drommi, sia stato il primo marito di Anna Fallarino.

E qui si aprono molti file sul nome legato a una tragica vicenda di cronaca. La Fallarino, sposata Drommi, a Cannes conosce il marchese Camillo Casati Stampa di Soncino, ricchissimo, ma ricchissimo davvero, proveniente da una delle più antiche famiglie nobili milanesi. Il Casati spenderà, si dice, un miliardo di lire del 1958!, per ottenere l’annullamento del matrimonio Fallarino-Drommi dalla Sacra Rota, e impalmare un anno dopo la donna, travolti da una passione irresistibile. La loro storia erotica sessuale, ricca di voyeurismo ed esibizionismo, sfociata nel 1970 nell’omicidio da parte del marchese di Anna Fallarino e di un giovane amante, prima di rivolgere l’arma contro se stesso, ci interessa qui soltanto per i risvolti economici seguenti.

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Dalle case di Berlusconi ai villaggi fantasma

 

Federica Tourn (Pagina99 4/6/2016)

foto Paolo Ciaberta

Costruite in tempo record, funzionali e con colori neutri, complete di ogni singolo arredo, compresi gli strofinacci e i piatti, e soprattutto a prova di terremoto: non dovevi fare altro che entrarci e cominciare una nuova vita. Ecco le C.a.s.e., i “Complessi antisismici sostenibili ed ecocompatibili”, il progetto abitativo varato dalla Protezione Civile dopo il terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009 con il decreto n. 39 del 28 aprile, prontamente convertito in legge. 185 edifici antisismici, per un totale di 4449 appartamenti disponibili in 19 nuovi quartieri, a cui si aggiungevano i 1204 Map, Modelli abitativi provvisori, per un totale di 5653 nuovi alloggi.

Realizzate al prezzo di 2700 euro a metro quadro, le cosiddette “Case di Berlusconi” costavano come ville di pregio ma non si badava a spese se in ballo c’era «l’incolumità dei i cittadini», che andavano trattati «con i guanti bianchi» per quello che avevano sofferto. Il premier, sempre accompagnato dall’instancabile Guido Bertolaso, capo della Protezione Civile e “uomo del fare” osannato come una rockstar (oggi imputato per omicidio colposo plurimo e lesioni nel processo Grandi rischi bis), aveva consegnato di persona i primi alloggi proprio il giorno del suo compleanno, il 29 settembre 2009, ovviamente a favore di telecamera. In 75 giorni, nemmeno si trattasse di mettere insieme mattoncini Lego, aveva ridato un riparo sicuro agli sfollati.

E invece, inesorabilmente, le case del miracolo hanno cominciato a sfaldarsi come quinte di cartapesta sotto la pioggia: i balconi cedono (l’ultimo il 3 aprile scorso), i tetti si scoperchiano, i solai si abbassano, i soffitti perdono i pezzi, per non parlare delle infiltrazioni d’acqua e dei problemi di fognature. Anche i famosi isolatori sismici alle base dei palazzi, che avrebbero dovuto proteggere gli abitanti da nuove scosse, sono risultati difettosi per una frode nella fornitura. Altro che guanti bianchi.

La manutenzione costa da 4 a 7 milioni di euro all’anno e il Comune, che le gestisce dal 2010, non ce la fa e rischia il default. Le indagini nel 2014 hanno portato al sequestro di 800 balconi in 494 appartamenti mentre sono 37 gli indagati per truffa aggravata per 18 milioni, poi sequestrati alla ditta responsabile dell’appalto a fine aprile 2016. La relazione conclusiva sulla sicurezza degli alloggi dichiara che lo stato di conservazione dell’80% dei balconi esaminati è pessimo e che «il sistema di rivestimento presenta difetti costruttivi di tenuta degli agenti atmosferici», con il risultato che intere “piastre”, come sono chiamati i complessi edilizi, devono essere sgomberate per “rischio crollo” entro i prossimi tre mesi: 135 alloggi e altrettante famiglie che devono fare le valigie, di nuovo.

Non è un modo di dire. Molti aquilani, in pieno stress post traumatico, si sono ritrovati forzatamente nomadi. Paolo Battaglia dal giorno del terremoto ha cambiato casa sei volte. Ora vive in un Map a Tempèra – affitto a 15 euro al mese, più 24 euro di spese condominiali, per 37 metri quadri – e, anche se è psicoterapeuta, si mantiene lavorando in un call center. «Qui l’unico settore in crescita è quello dei traslochi», ironizza. «Tre degli alloggi in cui ho abitato risultavano agibili ma in realtà non erano a norma – aggiunge – Siamo costretti a riadattamenti continui, ci accontentiamo perché l’affitto è basso e a casa ci torniamo soltanto per dormire». Perché questo sono, di fatto, le New Town: quartieri dormitorio sparsi in un raggio di 40 chilometri, senza servizi, con trasporti pubblici scarsi e mal funzionanti. Non ci sono negozi né impianti sportivi, nemmeno una piazza dove ritrovarsi; ogni tanto qualcuno apre un bar in un container, ma in assenza di contributi pubblici resistere è dura. Persino le messe della domenica in molte zone si tengono ancora nei prefabbricati o nelle “tende amiche”, le tensostrutture messe in piedi dalla Protezione Civile, ghiacciaie d’inverno e serre d’estate. «Il supermercato più vicino è a tre chilometri, se non hai l’auto non fai nulla», conferma Simona Santilli, che vive con suo figlio in un appartamento del Progetto Case di Roio Poggio, 155 euro per 68 metri quadri. «La ricostruzione sociale dopo il sisma è stata completamente sottovalutata – commenta – hanno distrutto una vallata per costruire questi insediamenti e ora il territorio è completamente sfilacciato, senza legami, dove si alimenta il disagio sociale». Dalla finestra guarda ogni giorno la sua vecchia casa, una cascina ristrutturata che è rimasta in piedi ma è comunque inaccessibile, perché il borgo intorno è completamente crollato. Il paragone fra prima e dopo è inevitabile, dimenticare il terremoto impossibile.

Le New Town, pensate per un massimo di 18mila persone, oggi ne ospitano la metà. Se si eccettua il centro storico dell’Aquila, che è ancora ostaggio dei cantieri, la ricostruzione della periferia e dei comuni vicini è quasi completata e chi poteva è rientrato in possesso della propria abitazione, senza contare chi è emigrato dopo il sisma in cerca di lavoro. «Il 70 per cento degli occupanti è costituito ancora da sfollati ma abbiamo voluto aprire anche alle fragilità sociali e a persone con basso reddito, in particolare giovani coppie, famiglie monoparentali e studenti», spiega Fabio Pelini, assessore all’Assistenza alla popolazione del Comune dell’Aquila. E destinare le Case di Berlusconi vuote ai migranti? L’assessore si dice d’accordo, e l’ha anche proposto pubblicamente, ma le reazioni non sono state proprio positive.

«Un giorno che passavo da queste parti con mia moglie, commentavamo che le casette dei Map sembravano un campo di concentramento. Ti aspettavi di vedere uscire il kapò da un momento all’altro. Ed ora eccoci qui». Francesco Cardilli e sua moglie Barbara sono una di quelle coppie che hanno ottenuto l’assegnazione di un alloggio dei Map di Pianola due anni fa, grazie a un bando comunale. Francesco si è dato da fare e ha cercato di migliorare il più possibile quei 50 metri quadrati ma è chiaro che non può durare. «L’angolo della casa si sta aprendo, tra non molto crollerà», dice. E poi?

Poi, quando sarà dichiarata inagibile, loro traslocheranno di nuovo e i Map probabilmente verranno abbattuti. «Parte di questo patrimonio dovrà essere demolito – conferma Pelini – ma i costi sono elevati e quindi le modalità vanno condivise con il governo». Quando, e con che fondi? Il sindaco Massimo Cialente ha fatto presente l’urgenza al premier Renzi, ma per ora non ha ricevuto risposta. Sarà con ogni probabilità una delle prime grane in capo alla prossima amministrazione. Il fatto è che terreni agricoli pagati due soldi grazie all’emergenza post sisma adesso sono diventati edificabili e quindi potenzialmente pronti per una nuova speculazione edilizia.

Carla Casamobile fuma una sigaretta sotto il balcone puntellato del suo alloggio di Collebrincioni, sotto il Gran Sasso, che a malincuore è costretta a lasciare entro agosto perché pericolante. Racconta di gente che aspetta ancora i rimborsi dei terreni espropriati, di anziani che passano il tempo seduti sulla soglia senza niente da fare, di responsabili che escono puliti dai processi mentre i reati filano veloci verso la prescrizione; di una politica assente che ha spremuto ogni risorsa per restituire soltanto un paesaggio disgregato e tenuto su con i tubi Innocenti, dove le persone sono pedine da spostare dentro un gigantesco gioco dell’oca.

«Il terremoto qui non è stato niente», conclude Carla. «Il peggio è venuto dopo».