Di Federica Tourn
Foto di Federico Tisa
Pubblicato su La Via Libera
Migranti che fanno il doppio lavoro, di giorno nei campi e di notte nei capannoni, senza rispettare le ore di riposo obbligatorie, con un “caporale nero” che li gestisce per conto di aziende che evadono il fisco e sottopagano i lavoratori. Uno scacchiere in cui ognuno ha il suo posto e si muove con regole ben definite, quello che sta emergendo dal processo istruito davanti alla Corte di Assise di Cuneo, in cui Moumouni Tassembedo, detto Momo, originario del Burkina Faso, e due famiglie di imprenditori del Saluzzese, i Depetris di Barge e i Gastaldi di Lagnasco, sono accusati di sfruttamento della manodopera agricola. Secondo gli inquirenti, avrebbero orchestrato un sistema per reclutare i braccianti di origine africana, lucrando sulla loro condizione di fragilità economica e sociale. Uno scenario ricostruito con dovizia di particolari dall’indagine del nucleo dei carabinieri dell’Ispettorato del Lavoro di Cuneo e che parla espressamente di caporalato secondo la legge 199 del 2016.
È la prima volta per il distretto della frutta ai piedi del Monviso, un comparto produttivo che conta ottomila aziende e si regge sull’apporto dei migranti subsahariani che ogni primavera arrivano dal Sud Italia per la raccolta. Secondo la Coldiretti, su una media di 13mila stagionali, 11mila sono stranieri; il 2020 è stato però un anno eccezionale per le restrizioni causate dalla pandemia, che ha abbassato del 65% il numero dei lavoratori provenienti dai paesi extraeuropei (dati Istat). Tra quelli intercettati dalla Caritas, all’Infopoint di “Saluzzo Migrante” la scorsa stagione sono state registrate 662 persone (rispetto alle 904 dell’anno precedente), provenienti da 25 paesi e in particolare da Mali (35%), Senegal (17%), Gambia (11%) e Costa d’Avorio (8%). Continua a leggere “Caporalato, il primo processo ai piedi del Monviso”