Abusi, mosaici e milioni, ecco la società segreta di Rupnik

 

Di Federica Tourn e Marija Zidar, (Lubiana)

Domani, 14 aprile 2023

 

Si chiama Rossoroblu la società fondata nel 2007 da Marko Rupnik «per la creazione e posa in opera, in laboratorio e sul luogo, di mosaici, vetrate, affreschi, murales, sculture, pitture in tutte le varie tecniche ed arti». La srl, con sede in via Paolina 25, dove si trova il Centro Aletti, appartiene per il 90 per cento a Rupnik e per il 10 a Manuela Viezzoli, una ex sorella della comunità Loyola che ora fa parte del “cerchio magico” delle sue fedelissime, le laiche consacrate della Comunità della divino-umanità. In almeno due casi abbiamo la prova che è stata questa società a trattare le commissioni dei mosaici: in occasione dell’imponente lavoro al Santuario di padre Pio di Pietrelcina  a San Giovanni Rotondo e per i lavori di decorazione nella chiesa del cimitero di Lubiana. Il famoso artista, il gesuita accusato di abusi nei confronti di diverse suore, non poteva scegliere un nome più evocativo per la srl che gestisce le commissioni e i pagamenti dei suoi mosaici. Rosso, oro e blu sono i suoi colori: il rosso a indicare la divinità, il blu l’umano e il giallo la santità secondo la tradizione cristiana del primo millennio, come ha più volte spiegato lo stesso Rupnik. Sono il suo marchio di fabbrica, come i grandi occhi neri delle figure sacre, ritratte con le pupille dilatate a occupare tutta l’orbita.

Una società di cui nemmeno il superiore di Rupnik, padre Johan Verschueren, delegato del Preposito generale della Compagnia di Gesù per le Case internazionali dei gesuiti a Roma, era a conoscenza: «è una notizia completamente nuova per me e anche abbastanza scioccante», ha detto, interpellato da Domani. Possedere una società non è ammissibile per un gesuita, «perché è contro il voto di povertà» ha aggiunto padre Verschueren. Chi allora ha permesso a Rupnik di gestire direttamente i profitti derivati dalle sue opere?

Più si diffondono le testimonianze delle vittime (un’altra religiosa, suor Samuelle, qualche giorno fa ha raccontato al giornale francese La vie le molestie subite da Rupnik al Centro Aletti), più quei rossi, gialli e blu accesi di Rupnik sembrano incombere su chi li osserva e sollevano non pochi dubbi sul futuro delle opere. Si può distinguere il lavoro dell’artista dalle responsabilità del sacerdote? Al momento a Rupnik è vietato accettare nuove commissioni di lavori artistici, ma l’interdizione si estende anche all’atelier artistico del Centro Aletti di cui lui è il fondatore e l’ispiratore? Domande imbarazzanti, perché coinvolgono non solo la reputazione di Rupnik ma il futuro stesso del Centro Aletti e di non poche istituzioni religiose e chiese in tutto il mondo. Interrogativi spinosi che qualcuno ha cominciato a porsi: il 27 marzo il vescovo di Tarbes e Lourdes Jean-Marc Micas e il rettore del Santuario di Lourdes Michel Daubanes hanno affermato in un comunicato ufficiale che «i mosaici di padre Rupnik che decorano la Basilica del Santuario di Lourdes potrebbero essere rimossi a causa della sofferenza delle vittime che vengono al Santuario in cerca di conforto». Rupnik era stato anche nominato responsabile della decorazione interna ed esterna della nuova chiesa di Saint-Joseph-le Bienveillant, la cui costruzione è iniziata diversi mesi fa nella parrocchia di Montigny-Voisins, non lontano da Parigi. L’8 dicembre scorso, però, venuto a conoscenza delle accuse al gesuita, il vescovo di Versailles Luc Crepy, d’accordo con don Pierre-Hervé Grosjean, parroco di Montigny-Voisins le Bretonneux, ha deciso di interrompere ogni collaborazione. Segnali importanti che arrivano dalla Francia, un paese sempre un passo avanti sul tema degli abusi clericali e del rispetto delle vittime, e che presto potrebbero fare scuola anche altrove.

In attesa del responso della Compagnia di Gesù, che a breve dovrebbe pronunciarsi sulla sorte del sacerdote e che ha già detto di ritenere attendibili le denunce raccolte nei mesi scorsi dal team referente incaricato di ascoltare le vittime, è quindi interessante approfondire come funziona “l’industria” delle opere di Rupnik. Oltre 220 mosaici, affreschi e vetrate in chiese e istituzioni religiose – questo il numero dei lavori eseguiti dal Centro Aletti dal 2000 al 2022 – a cui bisogna aggiungere i quadri, le vetrate e le opere funerarie di proprietà di privati. Una produzione enorme e diffusa in tutto il mondo, frutto del pensiero di Rupnik e dell’opera dell’Atelier del Centro, che si propone «come via per aiutare un nuovo incontro tra l’arte e la fede, tra le diverse Chiese e gli artisti», come si legge sul sito del Centro. Un «permanente cantiere comunitario», che si occupa quasi esclusivamente di arte liturgica  e di cui fanno parte artisti e architetti, «in modo da poter gestire tutte le fasi del lavoro, dalla progettazione dello spazio ecclesiale fino alla realizzazione dell’arredo liturgico e delle opere d’arte».

Senza entrare nel merito del valore artistico di queste opere, siamo certamente di fronte a un patrimonio considerevole dal punto di vista economico. In particolare i mosaici, che hanno reso famoso Marko Rupnik a livello internazionale, hanno prodotto ricavi stimati in decine di milioni di euro. E qui dunque sorge la domanda: quanto costa un mosaico realizzato da Rupnik e dalla sua corte di artisti?

Reperire i dati è tutt’altro che semplice. Il Centro Aletti non ha risposto alle domande di Domani e sul sito non c’è traccia di cifre, né si trova di più sui siti delle istituzioni che hanno commissionato le opere, come se fosse di cattivo gusto parlare di denaro in mezzo a tanta professione di fede. Per quanto riguarda l’Italia, abbiamo rintracciato il preventivo per il mosaico di 250 metri quadri realizzato nel 2017 sulla facciata esterna del Santuario della Madonna dei Fiori di Bra (Cuneo): ammontava a 250mila euro (coperti interamente dai fedeli), ma la cifra è lievitata in corso d’opera. Il lavoro al Santuario di Padre Pio, invece, è costato ai frati minori cappuccini più di sei milioni di euro già dieci anni fa (il cantiere è stato aperto dal 2009 al 2013), secondo quanto riferisce una fonte interna al Santuario. Si tratta di un percorso iconografico di oltre 2400 metri quadri, pensato per arricchire la chiesa costruita da Renzo Piano e che comprende il mosaico della rampa di accesso alla Chiesa inferiore, gli arredi della cripta, il crocefisso, l’altare esterno e infine la decorazione della Cappella del Santissimo Sacramento. Possiamo quindi soltanto immaginare quale cifra da capogiro richieda il progetto, tuttora in corso, al Santuario nazionale dell’Aparecida, nello stato di San Paolo in Brasile, la più grande chiesa del continente americano e la seconda al mondo dopo San Pietro in Vaticano. Qui Rupnik e la sua équipe hanno già terminato di decorare l’ingresso nord della basilica, 2300 metri quadri di mosaico con scene dall’Antico Testamento. Restano ora le altre tre facciate da ultimare. Interpellati da Domani sui costi dell’opera e sulle previsioni per il prossimo futuro (chi completerà il lavoro? Sarà appaltato ad altri?), i responsabili del Santuario brasiliano hanno preferito non rilasciare dichiarazioni.

Parlare di Rupnik non è facile nemmeno quando si tratta del suo paese natale. Secondo i dati pubblici forniti dalle stesse parrocchie e dai media sloveni, già vent’anni fa il prezzo dei mosaici di Rupnik oscillava tra i mille e i tremila euro al metro quadro, e il prezzo è aumentato negli anni successivi di pari passo con la notorietà di Rupnik. Le dimensioni delle opere variano dai 50 ai 200 metri quadri, quindi il ricavo totale dei mosaici sloveni arriverebbe a circa 6 milioni di euro. In Slovenia, dove l’atelier artistico del Centro Aletti, secondo i dati ufficiali, ha realizzato 38 opere, i parroci delle chiese che sfoggiano i mosaici sono quasi tutti molto reticenti a rivelare l’esito delle trattative. A Semič, piccolo comune vicino al confine con la Croazia, Rupnik ha realizzato i mosaici per la cappella di Santa Teresa del Bambin Gesù nel 2019: intervistato da Domani sull’opera, il parroco Luka Zidanšek parla addirittura di «accordo segreto» e si rifiuta di rivelare quanto è stato pagato il lavoro. Nella chiesa della Santa Vergine di Polje, a Lubiana, dove i mosaici non solo ricoprono le pareti del battistero e della cappella della Santa Vergine ma adornano tutta la facciata della chiesa, le cose non sono andate meglio: Janez Bernot, il parroco che ha commissionato il lavoro (realizzato fra il 2017 e il 2020), accoglie con freddezza la domanda e dice che «non ricorda» e che comunque «si è trattato di un accordo commerciale riservato». Per quanto riguarda gli edifici civili, i mosaici di Rupnik svettano per svariati metri di altezza all’interno del complesso residenziale “Vila urbana”, nel centro storico della capitale, a pochi passi dalla cattedrale. Qui, invece del Cristo, si vede il drago, simbolo della città di Lubiana, ma il tratto dell’artista è inconfondibile. Il valore dell’opera non è pervenuto.

Del costo dei lavori realizzati prima del 2012 abbiamo qualche notizia in più grazie alla tesi di laurea in ingegneria civile di Arnold Oton Ciraj su “Aspetti di spesa della costruzione di nuove strutture sacrali”. Nel descrivere la metodologia e i risultati, l’autore ammette che è stato arduo ottenere dati e che le arcidiocesi di Lubiana e Maribor, le due più grandi diocesi slovene, lo avevano addirittura avvertito in anticipo che sarebbe stato molto difficile ottenere informazioni sui costi di costruzione. «La maggior parte non ha nemmeno risposto – scrive Ciraj nella tesi – In molti casi le parrocchie, per vari motivi, non conservano questi dati e ci si chiede se siano mai esistiti su carta». Quando esistono, sono spesso lacunosi o approssimativi: «spesso i lavori venivano pagati in contanti e non se ne fa menzione nei registri finanziari», sottolinea l’ingegnere.

Dei quaranta committenti interpellati, quasi nessuno ha voluto dichiarare l’esito degli accordi finanziari. Ciraj è riuscito a ottenere informazioni sul prezzo delle opere di Rupnik solo da tre parrocchie slovene, dove sono presenti i mosaici più imponenti: San Marco Evangelista a Capodistria, il complesso cimiteriale di Santa Croce a Lubiana e la chiesa di Sant’Elena a Pertoče, vicino al confine con l’Ungheria. Secondo i media cattolici sloveni dell’epoca, la chiesa di Pertoče ha pagato 250mila euro nel 2009 per un mosaico di 92 metri quadri che occupa tutto il presbiterio, mentre la parrocchia di San Marco a Capodistria ha corrisposto circa 100mila euro nel 2003 per un mosaico di 115 metri quadri, a cui si aggiungono i 22mila euro donati dalla società per azioni del Porto di Capodistria per un nuovo mosaico di 40 metri. Per gli 80metri quadri del mosaico nella chiesa di Tutti i Santi nel cimitero di Lubiana, invece, la stima del costo, calcolata sul prezzo al metro quadro, arriva facilmente ai 150mila euro.

Inoltre, si apprende dal sito della parrocchia di Semič, a 70 chilometri da Lubiana, che nel 2019 aveva calcolato di spendere 50mila euro per un mosaico di 70 metri quadri, senza però aver ancora ricevuto un attendibile preventivo di spesa. Alcune parrocchie, a quanto pare, non hanno infatti avuto dal Centro Aletti una esatta stima dei costi, come nel caso della piccola parrocchia di Vrhpolje, a trenta chilometri dal confine italiano, dove i lavori per il mosaico di 180 metri quadri (all’epoca il più grande mosaico di Rupnik in Slovenia), iniziati nel 2013, sono stati terminati anni dopo per la difficoltà nel reperire i fondi necessari. Un articolo del 2016, uscito sul periodico Novi Glas, conferma le difficoltà incontrate dal sacerdote responsabile della parrocchia, don Janez Kržišnik: «l’enorme quantità di lavoro – spiega il prete – ha richiesto costi enormi che non possono nemmeno essere stimati con precisione».

I mosaici di Rupnik sono infatti finanziati principalmente con i doni dei parrocchiani e anche per questo motivo non si capisce tanta reticenza nel rendere note le cifre. Di fronte a questa mancanza di trasparenza, è logico chiedersi dove sono finiti i soldi. Chi ha incassato il denaro? Chi ci guadagna? L’attuale parroco di San Marco, don Ervin Mozetič, non sa dire a chi sia stata corrisposta l’intera cifra spesa nel 2003 (più di 122mila euro), mentre il sacerdote incaricato all’epoca, Jožef Koren, ricorda soltanto che si trattava di un bonifico bancario su un conto fornitogli da Rupnik. Lo stesso succede al cimitero di Lubiana: il sacerdote responsabile, Peter Možina, non era presente nel 2009, quando sono stati realizzati i lavori. Il parroco precedente, Tomaž Prelovšek, raggiunto al telefono da Domani, invece non ha dubbi: il pagamento è stato effettuato con un versamento direttamente a quella che gli viene presentata come «la società del Centro Aletti», la Rossoroblu srl.

Questa società in realtà è di Rupnik, perché il gesuita la possiede al 90 per cento. Dalla visura camerale si evince infatti che è stata fondata nel settembre 2007 da Rupnik e da Viezzoli, con un capitale sociale di partenza di diecimila euro; alla fine del 2022 risulta avere 15 dipendenti, mentre il bilancio dell’anno precedente registra un fatturato di 1.176.500 euro e un utile di 119.607 euro. L’andamento societario è in crescita (più 32,50% nel 2019) e l’utile negli ultimi anni è sempre aumentato, passando dai 41.490 euro del 2017 fino ai 95.481 euro del 2020. Amministratrice unica e rappresentante dell’impresa è Manuela Viezzoli e i soci risultano essere sempre loro due, Viezzoli e Rupnik. Al 31 dicembre 2021, nell’attivo dello stato patrimoniale, la società presenta, tra l’altro, 593.713 euro di crediti, quasi tutti crediti commerciali. Questo credito è aumentato nell’esercizio 2021 di 117.015 euro, che corrisponde quasi esattamente all’utile d’esercizio della società (119.607 euro). La società, insomma, va a gonfie vele.

Il bilancio appare comunque scarno rispetto al peso delle committenze evidenziate: quanto denaro è poi passato semplicemente «di mano in mano», come testimonia Ciraj nella sua tesi? Denaro che, lo ricordiamo, arrivava soprattutto dalle collette dei fedeli. I fondi della società Rossoroblu potevano essere usati per finanziare qualsiasi attività: per esempio – ma è solo un’ipotesi – la “Chiesa dell’uomo nuovo”, la cui costruzione a Roma ovest, secondo una nostra fonte, era già stata annunciata al clero dal vicario generale della capitale, il cardinale Angelo De Donatis.

Da notare anche che, nonostante le grandi entrate e i profitti dei mosaici, il Centro Aletti ha ben due fondazioni che chiedono contributi per finanziarne le attività, la Fondazione Agape a Roma e la Fondazione Centro Aletti, fondata in Slovenia nel 2002 da Marina Štremfelj, un’altra ex sorella della Comunità Loyola. Secondo il sito web del Centro Aletti, la fondazione slovena è stata creata con lo scopo specifico di «sostenere e incoraggiare, anche finanziariamente» le attività dell’Aletti di Roma. Non è chiaro come pensasse di farlo, visto che i bilanci mostrano entrate basse e addirittura numeri in rosso da alcuni anni.

Rupnik, se pur convocato ripetutamente, si è finora rifiutato di presentarsi al suo superiore, padre Verschueren. Il suo caso è un dossier sempre più scottante, visti i tanti elementi problematici che lo caratterizzano: gli abusi sulle ex sorelle della Comunità Loyola, le testimonianze delle vittime rese al team referente della Compagnia, la scomunica per aver assolto in confessione la donna con cui aveva avuto un rapporto sessuale, il ruolo, ancora tutto da investigare, avuto dal Centro Aletti nel coprire e avallare la condotta a dir poco spregiudicata del suo fondatore. A questo oggi si aggiungono gli ingenti guadagni realizzati negli ultimi vent’anni con i mosaci.

Davvero niente male per un sacerdote che ha fatto voto di castità, povertà e obbedienza.

 

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Le «crudeli aggressioni psicologiche» di Rupnik di fronte alle resistenze

Di Federica Tourn

Domani, 23 gennaio 2023

Diciasettesima puntata dell’ampia inchiesta che Federica Tourn sta conducendo per il quotidiano Domani sugli abusi all’interno della chiesa cattolica in Italia.

Complice l’attenzione riservata alla morte di Benedetto XVI, nella Chiesa è calato un pesante silenzio su Marko Rupnik, il gesuita vicino a papa Francesco al centro di uno scandalo per le violenze commesse su diverse suore negli anni ’90 e per una scomunica latae sententiae, poi subito revocata dalla Santa Sede. Se il Vaticano non parla, lo fanno però le vittime, continuando ad aggravare con le loro testimonianze la posizione del famoso artista e di chi lo ha protetto.

«Padre Rupnik mi disse: se non decidi per la Comunità Loyola non decidi per il Cristo. Io ero giovane, lui era la mia guida spirituale e mi fece capire che se non entravo a far parte della sua congregazione non appartenevo più a Cristo». La storia di Klara (nome di fantasia), oggi 58 anni, adescata dal gesuita quando era ancora minorenne, è la cronaca di un plagio totale, che ha coinvolto ogni aspetto della sua esistenza. Rupnik ha fatto leva sull’inesperienza e l’insicurezza dei suoi sedici anni per indurla a frequentare i ritiri spirituali con lui e poi forzarla a entrare nella Comunità Loyola. Una volta in suo potere, l’ha costretta a fare sesso «per il suo bene» e ha cercato di iniziarla ai rapporti a tre affidandola a un’altra donna affinché la “istruisse” e la preparasse per l’incontro con il “guru”.

Quando ha incontrato Rupnik?

L’ho conosciuto nel 1980, quando avevo sedici anni. Rupnik era stato ricoverato per un’infezione nella Clinica per le Malattie Infettive a Lubiana, dove io stavo svolgendo il tirocinio obbligatorio dopo il primo anno della Scuola per infermiere. Eravamo da soli nella stanza e mentre rifacevo il letto la croce che portavo al collo mi è scivolata fuori dalla camicia: mi sono spaventata, eravamo ancora negli anni del comunismo in Jugoslavia e mostrare di essere cristiani poteva essere pericoloso. Lui per tranquillizzarmi mi ha detto che era un gesuita e che aveva uno studio artistico a Roma. Quando è stato dimesso, mi ha invitato a partecipare a un gruppo di giovani che lui stesso aveva creato e che si riuniva nella sede dei Gesuiti a Dravlje, a Lubiana.

E lei?

Sono andata. Un anno dopo, poco prima di Natale, ho partecipato anche a un ritiro spirituale nel Monastero di Stična, a quaranta chilometri dalla capitale. Alla fine della giornata, mentre mi salutava, Rupnik mi ha abbracciata e baciata, giustificando quel gesto con il mio bisogno di tenerezza. Mentre continuava ad abbracciarmi e baciarmi, mi ripeteva che lo faceva solo per il mio bene.

Che impressione le faceva Rupnik in quel periodo?

Ero confusa, colpita dalle attenzioni che mi rivolgeva. Mi ero da poco trasferita dal mio villaggio di campagna in città ed ero molto insicura e influenzabile, mentre lui era già considerato un leader. Inoltre ero molto religiosa; sin da bambina sognavo di andare in missione, anche se ancora non sapevo se come suora o come laica. Il mio desiderio era di mettermi al servizio degli altri e per questo avevo studiato da infermiera. Lui ha subito captato questa mia aspirazione e l’ha indirizzata verso la Comunità Loyola in formazione. Era molto insistente, e allo stesso tempo mi parlava sempre di una ragazza italiana, sua modella nell’atelier dove dipingeva, come esempio di femminilità ed erotismo, caratteristiche che diceva di vedere anche in me.

Era convinta di entrare nella Comunità Loyola?

Tutt’altro. Qualche mese prima di entrare in comunità, nel 1986, durante l’anno di “prova”, in cui si verificava se davvero avevamo la vocazione a prendere i voti, ho ricevuto una proposta di fidanzamento da parte di un ragazzo che conoscevo. L’ho detto alla sorella responsabile della comunità slovena e subito è arrivata la convocazione da parte di padre Rupnik ad andare a Roma per parlare con lui. In quell’incontro mi ha rimproverata duramente dicendomi che ero una stupida e che stavo sbagliando tutto. «Se non prendi la decisione di scegliere la Comunità Loyola significa che non scegli Cristo nella tua vita»: queste sue parole mi hanno spaventata perché ero una persona religiosa e non volevo certo allontanarmi da Dio. Anche al momento della scelta definitiva ho avuto dubbi: si era risvegliato in me il desiderio di partire come missionaria laica ma padre Rupnik tagliò corto dicendo che la mia decisione per la Comunità Loyola non poteva e non doveva essere cambiata. Avevo 23 anni quando sono entrata in comunità nel 1987 e ho preso i voti definitivi quattro anni dopo.

Quando sono cominciati i primi approcci sessuali?

L’anno prima di entrare nella Comunità Loyola, nel 1986, abitavo a Lubiana in un appartamento in subaffitto. In quel periodo, padre Rupnik viveva nella comunità dei Gesuiti a Gorizia e a volte passava a trovarmi quando era in città. In una di queste occasioni mi ha invitata a entrare con lui nel bagno, dove ha cominciato a masturbarsi, davanti a me, sopra il lavandino; poi mi ha preso la mano in modo che continuassi io, mentre con l’altra mi spingeva la testa verso il basso. Mi diceva che lo faceva solo per il mio bene: «ne hai bisogno perché non hai ricevuto abbastanza amore e attenzione da tuo padre», diceva, e intanto mi raccomandava di non parlarne con nessuno.

Ci sono stati altri episodi?

Molti altri. Quando ha avuto la certezza che sarei entrata in comunità, ha cominciato a sfruttarmi sessualmente a suo piacimento. Durante il primo anno a Mengeš, padre Rupnik veniva per la guida spirituale e le confessioni; in quelle occasioni più volte mi disse che aveva una relazione sessuale anche con altre sorelle, menzionando ripetutamente il sesso a tre e chiedendomi se preferivo stare con una sorella e lui, oppure se desideravo essere sola con due uomini. Mi descriveva il nostro futuro rapporto a tre con ogni dovizia di particolari. Mi ricordo una volta che, dopo aver accompagnato due sorelle da Mengeš a Gorizia, si è fermato nel garage e ha cominciato a palpeggiarmi per poi masturbare sé stesso e me. Lo stesso anno mi ha scelta come aiuto nella direzione degli esercizi spirituali nel Monastero di Stična, soltanto per avermi più giorni a disposizione per fare sesso. Era il mio direttore spirituale e tutte in comunità mi ripetevano che dovevo essere umile e sottomessa: mi sentivo in trappola e non potevo parlarne con nessuno.

Durante la pasqua del 1988, mentre ero a Roma per studiare teologia, sono stata mandata da padre Rupnik a San Marco in Lamis, in Puglia, a casa di una donna che aveva frequentato per un periodo la Comunità Loyola. Rupnik mi aveva parlato a lungo di come lei lo ispirasse artisticamente quando, nel suo atelier si massaggiava i seni e si accarezzava davanti a lui. Ho capito ben presto che ero stata mandata a casa sua con lo scopo preciso di farmi istruire sul sesso a tre: lei si toccava e “giocava” con me a letto, parlandomi di come sarebbe stato con padre Rupnik e di come avremmo bevuto il suo sperma da un calice a cena. Io ero imbarazzatissima e totalmente bloccata, tanto che una sera lei ha chiamato Rupnik al telefono dicendogli che con me non c’era nulla da fare.

A quel punto che cosa è successo?

Padre Rupnik ha cambiato totalmente atteggiamento nei miei confronti e ha cominciato a trattarmi molto male: sono stata sfruttata, ignorata ed emarginata in comunità, e anche l’atteggiamento di Ivanka Hosta è cambiato radicalmente. Sono diventata una sorella di terza classe, considerata incapace di osservare l’obbedienza, di pregare e di essere umile: era il loro modo per dirmi che potevo solo servire le sorelle, guadagnare dei soldi, ma non avevo il diritto di parola. Sono stata umiliata, rimproverata e punita pubblicamente. Non sono riuscita a dire la causa della mia sofferenza e della mia confusione interiore, mi percepivo soltanto come un relitto emotivo ormai inutile.

Quando è riuscita a uscire da questa situazione?

Dopo anni di vessazioni da parte della superiora e delle sue “protette”, sono stata trasferita a Gerusalemme in una piccola sede della comunità e tre anni dopo l’ho lasciata definitivamente. Avevo 35 anni. 

Ha mai più parlato con Rupnik?

Una volta, poco prima di andarmene dall’Italia, l’ho affrontato durante gli esercizi spirituali e gli ho detto che mi aveva ingannata sin dal principio e che avevo capito il suo sistema: usava tutti i suoi doni di comprensione delle fragilità di ognuna di noi a suo vantaggio per avere prestazioni sessuali, usando una logica distorta dell’amore. Al contempo, quando trovava “resistenze”, come è successo a me, iniziava a compiere crudeli aggressioni psicologiche, emotive e spirituali che, insieme all’abuso fisico, distruggevano le persone.

E lui?

Ha negato tutto: è rimasto impassibile e mi ha risposto che non sapeva di che cosa stessi parlando.

 

«Partì da una mano sul sedere  per apprezzarne la forma»

Di Federica Tourn

Domani, 7 gennaio 2023

Sedicesima puntata dell’ampia inchiesta che Federica Tourn sta conducendo per il quotidiano Domani sugli abusi all’interno della chiesa cattolica in Italia.

«In una mostra pubblica di Marko Rupnik a Maribor, in Slovenia, era esposto anche un quadro che ritraeva una donna poco vestita, in atteggiamento che sembrava sensuale. Questa cosa mi causò un certo sconcerto: si sapeva perfino chi di noi gli aveva fatto da modella, come se fosse una cosa normale».

Roberta (nome di fantasia), 54 anni, ha fatto parte della Comunità Loyola dal 1990 al 2000. Dalla sua testimonianza emerge chiaramente la sistematicità con cui il noto artista circuiva le giovani suore attraverso il plagio e l’abuso spirituale per ottenere favori sessuali, nell’indifferenza dei suoi superiori. Così come viene ben evidenziato a quali umiliazioni venissero esposte le donne che con fatica riuscivano a respingerlo. La comunità stessa era per Rupnik un sicuro bacino di coltura delle sue prede: non a caso molte ex religiose che abbiamo intervistato ricordano le pressioni ricevute dal gesuita per farle entrare nella “sua” congregazione.

L’abuso sessuale è però soltanto un aspetto dell’attitudine manipolatoria di Rupnik, che si estende ad ogni aspetto della vita delle persone su cui esercita la sua influenza. Anche chi, come Roberta, è riuscita a sottrarsi ai suoi approcci sessuali, ha dovuto fare i conti con le conseguenze di ripetute violenze psicologiche e spirituali.

Come ha incontrato Marko Rupnik?

Studiavo storia dell’arte all’università e una compagna di studi mi aveva invitato a una mostra di questo gesuita. Ci andai e lo conobbi in quell’occasione: ero alla ricerca di un approfondimento spirituale e quei quadri mi sembrarono significativi; inoltre lui mi notò e mi coprì di complimenti. Aveva un certo carisma, mentre io ero molto insicura. Accettai il suo invito a fare gli esercizi spirituali ignaziani e in pochi mesi lui, mostrando una platonica infatuazione per me, riuscì a manipolare la mia vocazione religiosa fino al punto da costringermi a entrare nella Comunità Loyola, che non avevo mai sentito nominare. Io ero orientata piuttosto verso un ordine tradizionale, come le suore francescane e le orsoline, ma Rupnik diceva che non andavano bene per me, e che ero destinata ad altro. In una messa a Stella Matutina, che allora era la residenza dei gesuiti a Gorizia, mi fece fare un giuramento solenne davanti a Dio che sarei entrata nella Comunità Loyola, un voto che per me doveva avere valore di voto eterno indissolubile. Io subìi e accettai, e da lì sono cominciati i miei dieci anni in Comunità, dolorosi e assurdi: un sacrificio inutile, sterile, senza frutto.

Qual era l’atteggiamento di Rupnik nei confronti delle suore?

Era apertamente ambiguo: per certi sguardi che ti rivolgeva, e per gli apprezzamenti che non ti aspetteresti da un prete. Un giorno, ero ancora una novizia, mi ha messo le mani sul sedere, commentandone compiaciuto la forma. Capivo che era sbagliato, ma lui mi confondeva perché ammantava tutto di un’aura spirituale e giustificava il suo interessarsi apertamente alle forme femminili con il suo essere artista, e perdipiù un artista a servizio della gloria di Dio. Ci ripeteva sempre la retorica del valore spirituale della femminilità, che lui esaltava anche negli aspetti propriamente estetici: per esempio, ricordo una sua “lezione” sull’importanza del colore bianco nella biancheria intima femminile e il suo invito a indossare camicette bianche un po’ trasparenti che lasciassero intravvedere il reggiseno, come segno sublime di purezza e bellezza spirituale. Inoltre, sebbene per allungare le mani avesse aspettato che fossimo soli, in generale il suo atteggiamento ambiguo avveniva alla luce del sole ed era esperienza normale in comunità, come presumibilmente altrove.

Rupnik quindi non agiva di nascosto?

Aveva uno stile comunicativo seduttivo e manipolatorio che era sotto gli occhi di tutti. Ricordo anche che una volta partecipammo all’inaugurazione di una sua mostra a Maribor in cui, oltre ai grandi volti di Cristo, c’erano vari quadri a tema femminile. Uno in particolare ritraeva una donna poco vestita, in un atteggiamento che sembrava sensuale. Questa cosa mi causò un certo sconcerto, ma apparentemente passò sotto traccia in comunità: si sapeva perfino chi di noi gli aveva fatto da modella; se Ivanka ebbe qualcosa da ridire, io non l’ho mai saputo. In quel momento pensai chiaramente che qualcosa non andava, ma se tutti la consideravano una cosa normale, mi dissi che a sbagliare dovevo essere io. Questo era il contesto in cui vivevamo, in cui Rupnik poteva muoversi indisturbato. Infatti, evidentemente, per lunghi anni nessuno lo ha fermato.

Rupnik tentò approcci sessuali con lei?

Una volta. Dato che non riuscivo ad adattarmi alla comunità, ad un certo punto mi trasferirono a Roma e mi mandarono in “cura” da Rupnik. In quel periodo lui mi aveva imposto di telefonargli ogni giorno, cosa che mi metteva in grande imbarazzo, perché in quelle telefonate lui diceva che io ero molto importante per lui, ma chiaramente non era vero. Inoltre dovevo recarmi periodicamente nel suo studio al Centro Aletti, dove lui mi sottoponeva a una specie di terapia psicologica: mi mostrava delle fotografie e io dovevo dire quello che mi facevano venire in mente: lui commentava, anche in un modo che mi feriva, facendomi piangere. Dentro di me pensavo che quella era una procedura improvvisata e che non era qualificato per farlo, ma lui era considerato da tutti nel nostro ambiente un genio, un profeta e un taumaturgo, per cui tenni per me quei dubbi. Al secondo o terzo appuntamento per questa presunta terapia lui volle baciarmi sulle labbra, dicendo che quello era «il bacio di guarigione del Signore». Reagii dicendogli che non volevo più proseguire la “cura” perché non ero sicura che lui sarebbe riuscito a fermarsi.

Dopo che cosa successe?

Io non ne parlai con nessuno ma lui si indispettì e questo mio rifiuto acuì per un certo periodo la riprovazione da parte sua e della comunità, perché adesso ufficialmente, oltre che “poco spirituale”, ero anche una che non portava a termine gli impegni presi e che lasciava le cose a metà. Dopo quella volta, però, non ci provò più con me. Anche se non ho subito molestie sessuali da parte di Rupnik, ho però sperimentato gravi forme di abuso psicologico e spirituale da parte sua e della comunità, perché si sono intromessi nel mio rapporto con Dio, distorcendolo e distruggendo in me ogni fiducia. Questa è una ferita ancora aperta, perché la mia vocazione religiosa era sincera.

Sapeva che aveva abusato di alcune sue consorelle?

No, non sospettavo minimamente che la situazione fosse così grave. Anche a proposito dell’allontanamento di Rupnik dalla comunità non ricordo alcuna ricerca di chiarimento da parte di Ivanka o delle sue fedelissime. Ci avevano detto che era una questione di difesa del carisma. Giravano voci che era successo qualcosa fra “Anna” e padre Marko, ma la chiave di lettura della comunità era che ciò accadeva per una qualche sua colpa. L’unica a essere trattata con riprovazione fu “Anna”, pubblicamente bollata dalla superiora come “infedele” e per questo obbligata per punizione a fare la cuoca nella casa a Mengeš, in Slovenia, per tutta la vita. Lei era visibilmente molto sofferente: quando riuscì a scappare dalla comunità e ci si rese conto che era sparita, una delle sorelle, che in seguito è diventata una colonna del Centro Aletti, ci mandò a cercarla dappertutto, «anche sotto i letti», lasciando intendere che avremmo potuto trovarla senza vita, come se l’ipotesi del suo suicidio fosse prevedibile e quindi razionalmente accettabile. Trovai questo fatto di una crudezza inaudita. Lasciare la comunità era considerato il male assoluto, peggio della morte.

Perché lei decise di andarsene?

Dopo dieci anni in comunità ero ammalata nel corpo, annientata nella psiche e ferita nello spirito. I miei dubbi venivano bollati da Ivanka come opposizione a Dio e intorno a me avvertivo solo riprovazione e condanna. Vivevamo in un clima di terrore, in cui non veniva controllato solo quello che facevi ma anche quello che pensavi. Bastava che non avessi fatto bene il letto perché la superiora ti dicesse che la tua anima non era pulita. Ero sottoposta a un costante giudizio privo di benevolenza e ho interiorizzato il disprezzo che avvertivo nei miei confronti come il disprezzo di Dio verso di me. Alla fine sono scappata e sono tornata dalla mia famiglia; grazie alle cure di mia madre sono riuscita a riprendermi e a ricostruirmi una vita. Non era affatto una cosa scontata, perché la comunità era rigorosa e determinata nel recidere il legame con la famiglia di origine e nel mio caso lo aveva fatto con mano particolarmente pesante. Oggi sono sposata e ho un lavoro ma il percorso di recupero è stato lungo e doloroso.

Ha provato a denunciare le violenze psicologiche che ha subito?

Dopo essere tornata a casa, sono andata con mia madre dal responsabile per le congregazioni religiose della mia città per raccontare quel che succedeva nella Comunità Loyola. Con la scusa che non era di pertinenza della sua diocesi, non volle nemmeno ascoltarci.

«Le nostre denunce su Rupnik e il muro di gesuiti e Vaticano»

Di Federica Tourn

Domani, 29 dicembre 2022

Quindicesima puntata dell’ampia inchiesta che Federica Tourn sta conducendo per il quotidiano Domani sugli abusi all’interno della chiesa cattolica in Italia.

Una nuova testimonianza aggrava la posizione di Marko Rupnik, il noto teologo e artista al centro dello scandalo per abusi su diverse suore in Slovenia e a Roma. Dopo “Anna”, che ha rivelato a Domani le violenze subite dal gesuita quando era una religiosa della Comunità Loyola, Ester (nome di fantasia), oggi 60 anni, all’epoca segretaria della madre superiora Ivanka Hosta, racconta le repressioni messe in atto nella Comunità e il silenzio dei gesuiti e della Chiesa. Le stesse autorità ecclesiastiche che oggi si dicono addolorate per le vittime e che affermano di non essere state al corrente dei fatti, in realtà più volte segnalati nel corso degli anni.

Quando è entrata nella Comunità Loyola?

Sono stata fra le prime: a Lubiana nel 1984 si era costituito un gruppo di quattro sorelle da cui tre anni dopo ha avuto origine la Comunità. Nell’88 eravamo già in venti: io allora avevo 25 anni ed  ho preso i voti perpetui insieme ad altre sei sorelle, fra cui la superiora Ivanka Hosta, mentre le altre hanno emesso i voti per tre anni con l’impegno di ripeterli nel ’91, in occasione dei 400 anni della nascita di Ignazio di Loyola.

Qual era il rapporto fra Marko Rupnik, Ivanka Hosta e le sorelle della comunità?

Rupnik ci diceva che Ivanka aveva il carisma ma non lo sapeva trasmettere: solo lui poteva interpretare questo suo dono e trasmetterlo a noi sorelle. In questo modo costruiva un muro tra Ivanka e le altre suore della Comunità, che non riuscivano a confidarsi con lei. Padre Rupnik le ha legate a sé e non ha permesso una relazione sincera tra Ivanka e le altre sorelle. Pian piano è diventato questo lo stile dei rapporti tra di noi.

Com’era la vita nella comunità slovena?

Io ho vissuto con grande gioia i primi cinque anni di vita in comune e pensavo che anche per le altre sorelle fosse lo stesso. Ero del tutto ignara della sofferenza nascosta e degli abusi che subivano alcune di loro. Tutto è cambiato nel 1989 quando, dopo gli studi di teologia, sono stata mandata a Roma a studiare diritto canonico e a lavorare a Radio Vaticana. Qualcosa si è incrinato dentro me. Credevo che il problema fosse la stanchezza o l’immersione in un nuovo ambiente, con altre abitudini, ma anni dopo ho capito che l’inizio del mio buio era dovuto a padre Rupnik. Già negli anni vissuti a Mengeš, in Slovenia, mi vietava di vivere l’amicizia profonda che avevo con una delle sorelle, dicendomi che era una dipendenza insana, un segno di egoismo; a Roma poi mi ordinò di tagliare del tutto i ponti con lei. Questa esperienza ha cambiato il modello delle mie relazioni: non c‘era niente di stabile nei rapporti che avevamo, non c’erano più amicizie. Non solo: padre Rupnik ci chiese di scrivere una lettera ai nostri genitori e alla nostra famiglia in cui comunicavamo che per un anno non avremmo più avuto nessun rapporto con loro: niente visite, lettere o telefonate. Io in particolare dovevo scrivere quanto fossi preoccupata per la loro salvezza, elencare i loro difetti all’origine di questa preoccupazione. La lettera mi sembrava troppo dura ma la sorella che doveva “approvarla” aggiunse anche altre cose, ancora più tremende. Ho dovuto spedire la lettera e ancora oggi porto in me il ricordo amaro del loro dolore.

Quando ha saputo degli abusi sessuali di Rupnik?

Nel ’93, quando ci sono state le prime denunce alla madre generale. “Anna” ha parlato di quello che era successo con padre Marko e prima di lei era andata da Ivanka l’altra sorella con cui Rupnik aveva avuto il rapporto a tre, a Roma. Da quel momento molte altre sono venute da me a dirmi che erano state abusate da Rupnik e io dicevo loro di rivolgersi a Ivanka, perché era la superiora. Erano anni che le vedevo piangere, già dal 1985, ma solo in quel momento ho capito il motivo, per me prima inimmaginabile.

Che cosa è successo quando “Anna” ha deciso di denunciare apertamente Rupnik alle autorità ecclesiastiche?

Rupnik è stato allontanato dalla Comunità dall’arcivescovo di Lubiana Alojzij Šuštar. Ricordo che io stessa ho avuto l’incarico di portare tutti i suoi quadri al Centro Aletti a Roma. Era furioso.

Hosta come spiegò la sua partenza?

Radunò le sorelle e disse che Rupnik era stato mandato via perché voleva impossessarsi del carisma della Comunità e farsi passare da fondatore, ma noi del Consiglio che le eravamo più vicine conoscevamo il vero motivo. Così come lo sapeva il vescovo Šuštar e padre Lojze Bratina, all’epoca provinciale sloveno dei gesuiti. A padre Bratina avevo raccontato tutto io stessa ma lui mi aveva risposto che non ci credeva.

Da quel momento che cosa è successo?

La Comunità ha cominciato a funzionare come una vera e propria setta. Ivanka, credo per paura che la notizia degli abusi di Rupnik uscisse in qualche modo e compromettesse il futuro della comunità, ha taciuto e ha assunto con noi un atteggiamento totalmente repressivo e controllante. Non si dovevano più salutare gli amici di padre Rupnik o coloro che lo frequentavano, non si poteva più liberamente scegliere il confessore e neanche dirgli tutto. Veniva pure verificato che cosa avevamo detto in confessione e le risposte date dal confessore. La guida spirituale poteva essere soltanto una sorella della Comunità: o era la superiora stessa o, con il suo permesso, un’altra sorella. Il contenuto della preghiera personale doveva essere condiviso con le altre e Ivanka si attribuiva il diritto di giudicare quando una preghiera era genuina e quando non lo era. La sorella che non pregava bene spesso doveva insistere in cappella finché non pregava come voleva Ivanka, altrimenti veniva segnalata come persona in crisi, il che era sempre considerato una colpa, una chiusura nei confronti di Dio. La libertà personale era quasi completamente azzerata. A causa di questo clima buio e minaccioso la Comunità si è dimezzata: nel giro di pochi anni siamo uscite in 19, una addirittura è scappata dalla finestra.

Ci sono state reazioni da parte dei gesuiti o della Chiesa in generale?

Nessuna. Non uno che si sia interessato, almeno ufficialmente, della separazione fra Ivanka Hosta e padre Rupnik e della successiva disgregazione della Comunità. Nel ’98 sono andata in curia dai gesuiti e ho raccontato tutto di nuovo, stavolta al delegato per le case internazionali a Roma padre Francisco J. Egaña, ma ancora una volta non è successo niente. Dopo, per anni, ho vissuto con una grande ferita senza più avere rapporti con nessuna finché, prima del lockdown, ho incontrato una ex sorella che mi ha detto che la Comunità era stata commissariata.

Che cosa ha fatto dopo essere uscita dalla Comunità Loyola?

Lavoravo già in un’università cattolica a Roma. Al momento delle mie dimissioni dalla comunità, Ivanka è andata dal mio superiore per dirgli di sostituirmi con un’altra sorella: per fortuna si è rifiutato.

È in contatto con le sorelle che attualmente vivono nella comunità?

Con qualcuna. Molte hanno seri problemi fisici e psichici a causa delle violenze psicologiche e spirituali che hanno subìto. Alcune assumono farmaci che le devastano: una l’ho rivista ad un funerale e non l’ho nemmeno riconosciuta, tanto era segnata dall’effetto delle medicine. Prima Marko e poi Ivanka sono riusciti a togliere loro quel poco di autostima che avevano.

Per appoggiare la denuncia di “Anna”, lo scorso giugno lei ha scritto una lettera sugli abusi di Rupnik indirizzata ai gesuiti e a diverse personalità della Chiesa, dal prefetto del Dicastero per la dottrina della fede Luis Ladaria al cardinale vicario di Roma Angelo De Donatis. Qualcuno le ha risposto?

Nessuno. E dire che molti di loro li conosco personalmente.

La conferenza espiscopale slovena il 21 dicembre ha detto che prova “dolore e costernazione” per gli abusi, “rimasti ignoti per tanti anni”. È così?

All’epoca tanti erano al corrente dei fatti, dal vescovo di Lubiana al provinciale dei gesuiti fino al fondatore del Centro Aletti, il teologo Tomáš Špidlík. Nemmeno oggi i vescovi sloveni possono dire che non sapevano: “Anna” ed io abbiamo spedito via pec le nostre lettere anche all’attuale arcivescovo di Lubiana Stanislav Zore, al provinciale sloveno padre Miran Žvanut e a padre Milan Žust, superiore della Residenza della Santissima Trinità al Centro Aletti di Roma, che è anche il superiore di padre Rupnik. Non credevano che saremmo andate tanto avanti nella denuncia pubblica e hanno detto mezze verità per cercare di cavarsela.

Sia i vescovi sloveni che il cardinale De Donatis ora condannano gli abusi ma invitano a distinguere fra i peccati di Rupnik e ciò che ha espresso con la sua arte. Che cosa ne pensa?

L’arte è espressione di quel che lui insegna, riflette la sua personalità. Non si può dire che l’arte e il ministero sono due cose separate, Rupnik stesso ha sempre sottolineato che sono due elementi intimamente connessi. Finché la Chiesa non capisce che l’essere abusatore di padre Rupnik è legato al suo essere artista, continuerà a minimizzare la gravità di quel che è successo.

Nuove accuse al gesuita Rupnik: si allarga lo scandalo che sta scuotendo la chiesa

Di Federica Tourn

Domani, 23 dicembre 2022

Quattordicesima puntata dell’ampia inchiesta che Federica Tourn sta conducendo per il quotidiano Domani sugli abusi all’interno della chiesa cattolica in Italia.

Padre Marko Rupnik, il noto artista accusato di aver abusato di alcune suore negli anni ’90 e inchiodato dalla testimonianza di una ex religiosa (pubblicata su Domani il 18 dicembre), continua a causare lotte intestine fra i gesuiti e imbarazzo in Vaticano. Lo “tsunami Rupnik”, come l’ha definito su twitter l’ex provinciale gesuita Gianfranco Matarazzo, diventa sempre più imponente e minaccia di travolgere non soltanto la Compagnia ma la Chiesa tutta. Un’altra religiosa della Comunità Loyola ha detto alla Catholic News Agency di aver subito manipolazioni e umiliazioni spirituali da Rupnik: «era una persona egocentrica e violenta: voleva sempre essere al centro dell’attenzione e sottomettere gli altri al suo potere». «Le autorità ecclesiastiche hanno sempre coperto tutto – ha confermato la suora – ma gli abusi non si limitano certo soltanto alla Comunità Loyola».

Dopo le rivelazioni della stampa, i gesuiti sono stati però costretti ad ammettere che Rupnik aveva subìto ben due procedimenti ecclesiastici: uno da parte del Dicastero per la dottrina della fede, concluso lo scorso ottobre con la prescrizione dei fatti, e un altro nel 2020 sempre davanti allo stesso Dicastero (all’epoca Congregazione per la dottrina della fede) per “assoluzione del complice in confessione”. Un comportamento che aveva portato a una sentenza di scomunica latae sententiae, vale a dire immediata. Scomunica che, come è stato confermato dai gesuiti, era stata però revocata pochi giorni dopo dalla stessa Congregazione. Chi ha voluto cancellare le conseguenze di un reato considerato talmente grave da prevedere una condanna automatica? L’ordine è partito da papa Francesco? Difficile pensare che il pontefice non fosse a conoscenza dei fatti che coinvolgevano una persona in vista come Rupnik.

Certo è che, pur sotto indagine e nonostante le restrizioni che la Compagnia gli aveva imposto già nel 2019 (misure cautelari ancora in vigore, secondo quanto riportato dal preposito generale dei gesuiti Arturo Sosa Abascal), Rupnik non ha smesso di viaggiare, condurre esercizi spirituali ed esercitare incarichi importanti in diversi dicasteri vaticani. Fino al 2020 era direttore del Centro Aletti e in agenda aveva anche la direzione degli esercizi spirituali al Santuario della Santa Casa di Loreto per il febbraio 2023. Insomma, molti nella Chiesa erano a conoscenza dei suoi “problemi comportamentali” ma Rupnik, nonostante le denunce e le indagini interne, ha continuato a esercitare il suo ministero e a ottenere apprezzamenti come niente fosse. A fine novembre 2022 ha ricevuto anche una laurea honoris causa dalla Pontificia università cattolica del Paranà, in Brasile, e ad oggi risulta ancora consultore del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione.

Intanto qualcosa, almeno apparentemente, si muove. Sul sito della curia generalizia della Compagnia di Gesù è comparso il 18 dicembre un appello in cui si invita chiunque voglia denunciare nuovi fatti a rivolgersi direttamente ai gesuiti tramite una mail apposita. Lo stesso ha fatto pochi giorni dopo la conferenza episcopale slovena, che il 22 dicembre ha espresso «grande dolore e costernazione» e «vicinanza alle vittime». Una dichiarazione sottoscritta anche dal presidente dei vescovi sloveni, monsignor Andrej Saje, e dall’arcivescovo di Lubiana Stanislav Zore, che hanno auspicato maggiore trasparenza e tolleranza zero nei confronti di ogni abuso, fisico, sessuale, psichico e spirituale. Una parte dell’attuale chiesa slovena, cresciuta alla scuola di Rupnik e del Centro Aletti, è oggi infatti alle prese con un travaglio interno particolarmente acuto a causa dello scandalo. I vescovi sloveni si sono detti dalla parte delle vittime, «rattristati perché per decenni non sono state ascoltate», e hanno promesso di fare «del loro meglio per seguire con maggiore attenzione ciò che accade nelle comunità ecclesiali, affinché in futuro non avvengano più abusi di autorità da parte di chi ha incarichi di responsabilità».

Da parte sua, il vescovo ausiliare di Roma Daniele Libanori, commissario incaricato della comunità Loyola dove sono avvenuti gli abusi, ha confermato in una lettera ai sacerdoti che «le notizie riportate dai giornali corrispondono al vero». «Le persone ferite e offese, che hanno visto la loro vita rovinata dal male patito e dal silenzio complice – scrive Libanori – hanno diritto di essere risarcite anche pubblicamente nella loro dignità, ora che tutto è venuto alla luce». Se sul “caso Rupnik” sia davvero emerso tutto, è però ancora da vedere.

Foto di Žiga : la cattedrale di Lubiana

I baci nel nome dell’eucarestia e il sesso a tre per imitare la Trinità, parla la suora vittima di Rupnik

Di Federica Tourn

Domani, 18 dicembre 2022

Tredicesima puntata dell’ampia inchiesta che Federica Tourn sta conducendo per il quotidiano Domani sugli abusi all’interno della chiesa cattolica in Italia.

«La prima volta mi ha baciato sulla bocca dicendomi che così baciava l’altare dove celebrava l’eucaristia, perché con me poteva vivere il sesso come espressione dell’amore di Dio». Questo è l’inizio della particolareggiata testimonianza della violenza sessuale, psicologica e spirituale che Anna (nome di fantasia), una ex religiosa italiana della Comunità Loyola, ha subito per nove anni da parte del gesuita Marko Rupnik, non soltanto in Slovenia ma anche in Italia. Rupnik, teologo e artista noto in tutto il mondo, è oggi al centro di uno scandalo per l’accusa di abusi nei confronti di alcune suore, come abbiamo raccontato nei giorni scorsi su Domani. Anna, arrivata quasi al suicidio a causa delle sofferenze causate dal delirio di onnipotenza e dall’ossessione sessuale del gesuita, ha denunciato più volte il suo abusatore nel corso degli anni ma la Chiesa ha sempre coperto tutto. Continua a leggere “I baci nel nome dell’eucarestia e il sesso a tre per imitare la Trinità, parla la suora vittima di Rupnik”