Zona Disagio. L’Ungheria riscrive (ancora) un pezzo di storia

Il comunismo, l’olocausto e adesso la letteratura. Il progetto di Viktor Orbán di riscrivere la storia ungherese prosegue da anni a tappe forzate, con qualche inciampo, ma con un obiettivo a medio e lungo termine: allevare una generazione di compatrioti ignari del vero percorso delle vicende del loro Paese. 

Un obiettivo pericolosissimo sempre, a qualsiasi latitudine, molto più dello sbraitare sovranista che il premier riserva ai nemici di turno, siano essi l’Europa, i migranti, le organizzazioni non governative.

Primo ministro dal 1998 al 2002 e poi ininterrottamente dal 2010 a oggi e chissà per quanto ancora, Orbán sta avendo tutto il tempo per forgiare la Storia a suo uso e consumo. 

Dallo scorso anno i libri di testo che le scuole possono adottare sono solamente quelli prodotti dallo Stato: abolita l’editoria privata e via libera a pubblicazioni dove «l’immigrazione è un pericolo per i valori tradizionali ungheresi», dove «L’Unione Europea è un organismo che favorisce gli Stati del Sud Europa», dove il concetto di multiculturalismo viene spiegato con una fotografia della stazione di Budapest invasa dai migranti nel 2015, in cui si spiega che «i maschi sono più bravi delle femmine in matematica». Solite proteste accademiche, solito silenzio dei media quasi tutti assoggettati, e la notizia passa in sordina.

L’operazione è gigantesca: per questo Orbán si è circondato di una serie di docenti, storici e ricercatori compiacenti. Fra tutti spicca certamente Maria Schmidt, potentissima consigliera e animatrice di alcune delle più discusse iniziative culturali di questi ultimi anni. Prima fra tutte in ordine di tempo il museo del Terrore, dove nazismo e comunismo sono equiparati ed è anzi l’occupazione sovietica a occupare il maggior spazio e, pare di comprendere, le maggiori attenzioni critiche.

Da anni Maria Schmidt tenta di aprire il museo dell’Olocausto, ma qui sta facendo i conti con quel che resta della comunità ebraica del Paese, quasi tutta sterminata durante la Seconda guerra mondiale. L’idea di raccontare un’Ungheria non colpevole, in balia del giogo tedesco, costretta a chinare la testa di fronte a soprusi altrui, proprio non va giù agli eredi dei deportati. 

Ora l’ultimo caso: l’inaugurazione di una casa museo dedicata alla memoria dell’unico premio Nobel per la letteratura magiaro, Imre Kertész, nel tentativo di trasformarlo in un eroe nazionale in chiave anticomunista. Finiscono in soffitta, o meglio sotto il tappeto, i feroci attacchi di cui lo scrittore ebreo fu vittima da parte dei partiti di destra, compreso il Fidesz di Orbán, al momento della vittoria del Nobel nel 2002, soprattutto per le parole sull’Olocausto, gli orrori del nazismo e le complicità ungheresi. 

Oggi il governo preferisce recuperare le prese di posizione contro il comunismo, dimenticando quello che lo stesso Kertész aveva dichiarato in un’intervista del 2012 a Le Monde: «Niente è cambiato in Ungheria, tutto è uguale a come era nel regime di Kádár, solo che ora è Orbán che incanta il paese». 

A ricordarcelo per fortuna ci pensa Eva S. Balogh, ex insegnante di Storia dell’Europa orientale all’Università di Yale e curatrice del blog “Hungarian Spectrum”, che aggiunge altre battute da quell’intervista: «L’Ungheria si rivolta contro l’Europa per la tutela dell’interesse nazionale, il che può dare l’impressione che il Paese stia riguadagnando la sua sovranità. L’Ungheria ha torto, e ciò non è nuovo nella storia del paese». E ancora: «Gli ungheresi si renderanno conto che stanno andando nella direzione sbagliata e Orbán fallirà». In breve, ci vorrà uno sforzo eroico per trasformare Kertész in un personaggio che si adatti allo stampo per lui creato da Orbán, ma sono sicuro che nessuno sforzo sarà risparmiato per rimodellarlo in un vero scrittore “nazionale”.

cg

Lesbo e dintorni

Tutti gli aggiornamenti dal confine greco-turco

 

Lesbo, tra i dannati della terra

A Lesbo la situazione è a un punto di rottura, c’è il rischio di una pandemia e la violenza è senza controllo. I fascisti hanno preso il controllo della frontiera, intimidendo, picchiando e sfasciando macchine delle ong e giornalisti. Il fotoracconto di Federica Tourn e Stefano Stranges ospitato dal sito Q Code Mag, clicca qui

Inferno Moria


 

Dove i migranti conoscono l’inferno

La tragica condizione di Waled, Fatima, Ibrahim e degli altri 20mila migranti bloccati a Moria. Il  reportage da Lesbo di Federica Tourn con le foto di Stefano Stranges su Famiglia Cristiana in edicola dal 7 marzo 2020, qui sotto ora il testo integrale

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A Lesbo le ambulanze viaggiano senza sirene. Scivolano silenziose nel nero della notte sulle strade quasi deserte, furgoni con lucine a intermittenza, avanti e indietro dal campo di Moria all’ospedale del capoluogo Mytilene. Stridere di ruote, sbattere improvviso di portiere al pronto soccorso, urla degli operatori; a pochi passi due agenti di polizia fumano nervosamente mentre dall’ambulanza esce la barella con un ragazzo privo di conoscenza e sporco di sangue, un evidente squarcio alla gola. Inghiottito dalla sala urgenze con il suo seguito di infermieri, di lui non si saprà più nulla per giorni: è un numero su una domanda di asilo, un indesiderato, una grana – l’ennesima – per le istituzioni, che non sanno che farsene di questa gente arrivata sui barconi.

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Cristo si è fermato a Budapest

Di Federica Tourn e Claudio Geymonat (Venerdì di Repubblica, 11/01/2019)

C’è una città nel nord dell’Iraq che due anni fa ha cambiato nome: da Tel Skuf è diventata Bint Al-Majar, Figlia di Ungheria. Un ringraziamento per i massicci finanziamenti piovuti in questa fetta di Medio Oriente per precisa volontà del governo di Viktor Orbán. Intento nobile, se non fosse unilateralmente rivolto ai cristiani: «il gruppo religioso più oppresso al mondo, anche se nessuno lo sa a causa delle pressioni delle lobby islamiche internazionali». A parlare è Tristan Azbej, responsabile del primo Dipartimento di Stato per la difesa dei cristiani perseguitati, direttamente dipendente dal primo ministro, un’idea che ora il vice presidente degli Stati Uniti Mike Pence vorrebbe replicare anche a Washington. Continua a leggere “Cristo si è fermato a Budapest”

La resa dei conti tra Orban e l’università di Soros

Di Federica Tourn e Claudio Geymonat (Eastwest.eu, 28/11/2018)

La Central European University di Budapest, l’università fondata da Soros nel ’91, alla fine dell’anno sarà probabilmente costretta a lasciare l’Ungheria per rifugiarsi nel Paese di un altro sovranista, l’Austria di Sebastian Kurz.

 ll rettore Michael Ignatieff, stanco di quella che ormai ritiene un’inutile attesa, ha infine deciso di fissare una deadline al primo dicembre: se a quella data il governo di Viktor Orbán continuerà a rispondere con il silenzio alle reiterate richieste di dialogo, la Ceu lascerà definitivamente Budapest per Vienna, dove sono già stati trasferiti alcuni corsi, grazie a un memorandum di intesa siglato con il governo ad aprile e rafforzato dall’incontro fra il premier austriaco e Soros nei giorni scorsi. Continua a leggere “La resa dei conti tra Orban e l’università di Soros”