Fidel Castro e lo spirito della Riforma

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Claudio Geymonat (Riforma.it)

«Naïf ma non necessariamente comunista». Delle due l’una: o Richard Nixon non aveva fiuto politico (e le alterne vicende successive potrebbero anche corroborare l’ipotesi) o Fidel Castro non doveva avergli fatto l’impressione di un tirannico oppressore. E pensare che l’allora vice presidente degli Stati Uniti d’America, siamo nel 1959, aveva una solida formazione puritana, quacchera per la precisione, per cui quel giovane con il barbone doveva parergli un alieno.

Saranno prima gli espropri forzosi ai danni delle grandi aziende statunitensi, che sull’isola avevano goduto per anni di regimi fiscali più che agevolati, e subito dopo la decisione di acquistare il petrolio dall’Unione Sovietica, a avvicinare l’Havana a Mosca, Castro a Krusciov. Il suggello definitivo verrà apposto nell’aprile del 1961, la data della disastrosa Baia dei Porci, il fallito tentativo di deporre il Lider Maximo da parte di un migliaio di dissidenti finanziati e addestrati dalla Cia. Dopo allora fu l’embargo, fu la crisi dei missili dell’Urss installati a Cuba. Una via era tracciata e come richiesto sarà la storia a giudicarla.

Nel celebre discorso in cui Castro pronuncia la ancor più celebre richiesta di giudizio storico sul suo operato, colpiscono i numerosi riferimenti tratti dal mondo protestante (…)

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