Di Federica Tourn
Pubblicato su FQ Millennium, febbraio 2021
«Ero una giovane suora, lui era il responsabile provinciale della mia congregazione. Una sera ha insistito per darmi un passaggio: appena un po’ fuori dal centro abitato ha allungato le mani; mi sono buttata fuori dall’auto e ho visto che si masturbava». Nadia (nome di fantasia) è stata suora per più di trent’anni in Italia, salvo una breve parentesi in una missione africana. Aveva raggiunto un ruolo di rilievo in un importante ente religioso ma, a dispetto di una forte vocazione, ha deciso di lasciare l’abito a causa delle sofferenze patite. Con questa intervista, per la prima volta esce dal silenzio: la sua è una storia di fatica e di sfruttamento, di abusi e di una strenua resistenza a un ambiente corrotto. «Il padre provinciale ha provato moltissime volte a violentarmi – continua – in tante venivamo molestate, bastava rimanere da sola in una stanza e te lo trovavi addosso. Ho detto tutto al suo superiore ma non è servito a niente».
Non è stato l’unico: «Nella mia vita avrei dovuto denunciarne almeno quattro – specifica Nadia – Una volta, in missione in Africa, un prete di un’altra congregazione si infilò in camera mia durante la notte e mi violentò. Oggi è parroco in Belgio». In Italia, mentre frequenta un’università religiosa grazie a una borsa di studio, Nadia viene molestata dal rettore: «Mi ha chiamata nel suo ufficio con la scusa di un documento da fotocopiare – ricorda – e, dopo aver chiuso la porta alle mie spalle, mi ha preso la mano destra e l’ha appoggiata sui genitali per farmi sentire l’erezione». Fa una pausa, si sente il disgusto, tenace attraverso gli anni. «Mi viene una rabbia perché questo prete era cappellano e confessore spirituale di un convento: se ha osato provarci con me, che ero una conosciuta e italiana, cosa avrà fatto con le giovani provenienti da altri paesi, sole e vulnerabili?».
«Che cosa potevo fare? – prosegue Nadia – Era amico intimo di Buttiglione, del cardinale Angelini e di Andreotti: chi mi avrebbe dato retta?». Anni dopo, però, quando ormai non è più suora, Nadia incontra un altro prete, confratello del rettore, e gli racconta che ha studiato alla loro università ma che si è trovata male a causa di quel sacerdote. «“Lo sappiamo” mi ha risposto lui, senza esitazioni – ricorda oggi Nadia – Aveva capito immediatamente a che cosa mi riferivo. Sapevano tutto e non lo hanno fermato».
La storia di Nadia è tutt’altro che un caso isolato e parla di una realtà molto diffusa, che tuttavia fatica ad emergere. Se il dramma della pedofilia nella chiesa è ormai davanti agli occhi di tutti, con tanto di mea culpa ecclesiastici e (alcuni) processi eccellenti, gli abusi sulle suore da parte dei preti restano un buco nero da cui è quasi impossibile far emergere verità, dati e testimonianze, figuriamoci intravedere un percorso di giustizia. Soprattutto in Italia, dove su tutto incombe lo Stato Pontificio. Infatti, se in Francia il tema degli abusi sulle suore è stato trattato dal documentario choc di Eric Quintin e Marie-Pierre Raimbault Religieuses abusées, l’autre scandale de l’Église, trasmesso da Arte, nel nostro paese i tentativi di fare breccia nell’omertà del clero vengono ripagati duramente. Lo sa bene Lucetta Scaraffia, ex direttrice del mensile Donne Chiesa Mondo, supplemento dell’Osservatore Romano: proprio un suo articolo, nel febbraio 2019, ha scatenato la reazione delle gerarchie, portandola alle dimissioni. «Mi fu fatto capire che non dovevamo parlare di abusi sul giornale – racconta oggi – Quando il direttore dell’Osservatore cominciò a voler controllare le bozze, realizzai che la mia libertà d’azione era finita». Prima di andarsene, però, decide di sferrare il colpo e pubblica l’articolo sulle religiose abusate: «Abbiamo ricevuto tantissimi messaggi da parte delle suore, ci lasciavano fiori e bigliettini in redazione per ringraziarci di aver parlato delle loro sofferenze, una cosa commovente», ricorda. Il suo articolo, linkato ovunque al momento della pubblicazione, oggi è irreperibile sul web, quasi non fosse mai stato scritto.
Le donne consacrate non hanno potere decisionale e la loro parola non conta nulla in un ambiente già segnato da una profonda disuguaglianza di genere: «Le suore vivono una grave mancanza di considerazione nella chiesa: il loro lavoro è gratuito o poco pagato e spesso vengono trattate come serve dei preti», conferma Scaraffia. Inoltre la rigida gerarchia interna alle congregazioni mortifica in molti casi le vocazioni personali e costringe le suore a chiedere il permesso alla madre superiora per ogni minima cosa, dai soldi per la biancheria alla possibilità di studiare. Non sono rare le punizioni, soprattutto per le novizie: «Una ex suora ci ha raccontato di essere stata tenuta in ginocchio per ore sulle pietre per non aver eseguito un’incombenza e, in generale, le vessazioni psicologiche sono molto diffuse – racconta la psicologa Lorita Tinelli, del Centro studi sugli abusi psicologici di Bari – Sappiamo di alcuni casi in cui ancora viene utilizzato il cilicio per i pensieri peccaminosi. Le ragazze che prendono il velo devono rinunciare completamente al mondo esterno e levigare il carattere fino ad aderire completamente alle regole della comunità».
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