Enna, storia del prete pedofilo tenuto coperto da due vescovi

Di Federica Tourn

Domani, 3 luglio 2022

Quarta puntata dell’ampia inchiesta che Federica Tourn sta conducendo per il quotidiano Domani sugli abusi all’interno della chiesa cattolica in Italia.

A Enna è già tutto pronto per la cerimonia solenne di insediamento nella chiesa di San Cataldo, ma qualcosa manda a monte la festa per il nuovo parroco, don Giuseppe Rugolo: la presa di possesso avviene in sordina per decisione del vescovo e don Giuseppe per il dispiacere finisce addirittura in ospedale. Siamo a novembre 2018, e quello che sembra soltanto un intoppo nella brillante carriera di un prete molto popolare, leader indiscusso di un gruppo giovanile che conta più di duecento ragazzi, è invece il preludio di uno scandalo che culminerà più di due anni dopo con l’accusa di violenza sessuale su tre minori, secondo gli articoli 81 e 609 del codice penale. A denunciare è un giovane, Antonio Messina, all’epoca dei primi abusi appena sedicenne; durante l’inchiesta vengono individuati altri due minorenni vittime del prete. La gip Luisa Maria Bruno al momento dell’arresto dispone i domiciliari per il rischio della reiterazione del reato e la tendenza dell’indagato «a cedere alle pulsioni sessuali in maniera incondizionata».

I fatti. Nell’estate del 2009 don Giuseppe ha ventotto anni, è ancora un seminarista e si occupa della pastorale giovanile. Antonio invece è uno degli animatori del “Grest”, il gruppo estivo di cui Rugolo è responsabile; molto attivo in parrocchia, vorrebbe entrare in seminario ma sta attraversando una fase di confusione sulla sua identità sessuale. Già da tempo ne ha parlato proprio con don Giuseppe, che con il suo modo di fare amichevole incoraggia le confidenze dei ragazzi. Secondo quanto racconta Antonio, Rugolo approfitta di un momento in cui sono soli per costringerlo a masturbarlo: «non c’è niente di male», gli avrebbe poi detto il prete per cercare di calmarlo, perché in quel modo lo stava aiutando «a comprendere le sue inclinazioni». Gli approcci vanno avanti fino al 2013: quattro anni in cui il ragazzo subisce una vera e propria persecuzione, braccato in chiesa e controllato al telefono, blandito in privato e umiliato davanti a tutti se cerca di prendere le distanze. Quando Antonio instaura una relazione con un suo coetaneo, don Rugolo si oppone dicendo che commette peccato perché deve fare sesso solo con lui. Spaventato, soggiogato dalla personalità manipolatrice del prete, il ragazzo viene aggredito in canonica, in sagrestia, dietro l’altare prima della messa: «sentivo di non avere via di scampo», dice agli inquirenti. 

Dopo Antonio, il prete continua la caccia. Nel 2015 fonda l’associazione giovanile 360, che subito diventa un bacino di coltura per le sue conquiste: sceglie cinque o sei ragazzi, il suo “cerchio magico”, con cui instaura un rapporto informale fatto di battute sessiste, toccatine sui genitali e ritiri notturni in canonica. A uno di loro, con cui divide il letto e la doccia, regala soldi e manda messaggi pieni di cuoricini e “ti amo”, “notte principessa mia” “amore mio”. Il ritratto di Giuseppe Rugolo che emerge dall’ordinanza di custodia cautelare è di una “prima donna”: egocentrico e permaloso, distribuisce favori e punizioni a seconda dell’umore. Anna (nome di fantasia), una parrocchiana sua coetanea, ricorda: « lo trovavi nei locali a tutte le ore, beveva e fumava le canne coi ragazzi, li apostrofava con “ciao puttanella, ciao coglioncello” e li chiamava al telefono per chiedergli di raggiungerlo in piena notte. Era un megalomane».

Non era discreto, Rugolo, nella sua frenesia, ma le autorità ecclesiastiche sembrano non accorgersene. Eppure in curia c’era chi sapeva del vizio di don Giuseppe. Nel 2014, infatti, Messina si era deciso a raccontare tutto al parroco che lo aveva visto crescere, don Pietro Spina, che non gli aveva creduto, e l’anno successivo si era confidato con l’attuale vicario giudiziale del tribunale ecclesiastico don Vincenzo Murgano, il quale addirittura gli aveva consigliato di non denunciare l’accaduto e tirare avanti senza nemmeno avvertire il vescovo. Soltanto nel 2016 monsignor Gisana, finalmente avvertito da un altro parroco, convoca Rugolo, che però in un primo tempo nega; Gisana temporeggia, in attesa di parlare con Messina: incontro che si concretizza dopo altri due anni. Di fronte al racconto della vittima, che dichiara di aver subito violenze fisiche e psicologiche, il vescovo richiama il prete che, proprio alla vigilia del suo ingresso ufficiale in San Cataldo, «dopo pianti e disperazione», ammette (almeno in parte) l’abuso.

La reazione del vescovo di fronte all’evidenza rappresenta bene l’atteggiamento della Chiesa: mantenere innanzitutto il silenzio. Da un lato avvia l’indagine previa sulla condotta del prete, dall’altro offre alla famiglia del ragazzo 25mila euro, purché non risulti da nessuna parte che si tratta di un risarcimento per un abuso sessuale. «Dovevano essere in contanti, il vescovo disse ai miei genitori che li avrebbe presi dai fondi della Caritas», dice Messina. «Mi chiesero di firmare una clausola extragiudiziale di riservatezza in cui, in cambio di questa somma, io mi impegnavo a non parlare più con nessuno di quanto mi era successo. Ho avuto la sensazione di essere comprato». 

«Il riserbo era una richiesta della famiglia – dichiara invece l’avvocato della curia vescovile Gabriele Cantaro – Non è stata fatta alcuna offerta di denaro con l’intento di comprare il silenzio della parte offesa. Anzi, la trattativa parte proprio dalla famiglia, in un primo momento come sostegno per le spese sostenute e poi a titolo risarcitorio». L’accordo economico in ogni caso non si conclude e Antonio non viene nemmeno informato sull’esito dell’inchiesta ecclesiastica, che finirà in un nulla di fatto.

Gisana, ritrovandosi da solo a gestire la patata bollente, decide allora di mandare il prete pedofilo nella diocesi di Ferrara, ufficialmente per motivi di salute. Come in un film di seconda categoria, ecco che Rugolo si improvvisa attore, fingendosi malato per rendere credibile il suo trasferimento: «disse a tutti che aveva una malattia rara del sistema nervoso e camminava tremando, in chiesa si faceva sorreggere dai parrocchiani per raggiungere l’altare», ricorda Anna. Dal canto suo, oggi il vescovo di Ferrara Gian Carlo Perego sostiene che la permanenza del prete ennese «è stata concordata con il vescovo della sua diocesi e con la finalità del completamento degli studi presso l’ateneo di Padova. Al momento della sua venuta nel 2019 non esisteva alcun impedimento canonico affinché potesse completare gli studi». Sapeva, Perego, che Rugolo aveva precedenti pedofili? «Ero stato informato dal vescovo Gisana di un procedimento a carico di don Giuseppe per un episodio precedente la sua ordinazione, ma mi mostrò che tale vicenda era già stata valutata dalla Congregazione della Dottrina della Fede, e che non costituiva assolutamente una limitazione alla sua presenza da noi».

“Episodio” che evidentemente non impedisce a Rugolo di continuare ad avere contatti con i minori anche in trasferta: nella parrocchia di Vigarano Mainarda, in provincia di Ferrara, nell’estate 2020 organizza addirittura un campo per adolescenti. Il suo cuore però è rimasto ad Enna, dove continua a seguire i “suoi” ragazzi e ogni tanto compare senza avvertire il vescovo: «nell’estate del 2020 ha addirittura celebrato un matrimonio – ricorda Anna – lo si vedeva girare in centro, prendeva l’aperitivo con i ragazzi con un atteggiamento strafottente». Lo confermano gli stralci delle intercettazioni citate nell’ordinanza di custodia cautelare: Rugolo si sente punito ingiustamente, tanto da fare pressioni sulla curia per tornare a casa. «Io voglio fare il Grest con i ragazzi! Perché sennò li perdo tutti questi ragazzi!», si lamenta al telefono con padre Spina a metà gennaio 2021, salvo disperarsi qualche giorno dopo quando sui social si diffonde la notizia che un prete di Enna è stato denunciato per abusi: Messina, infatti, dopo aver scritto invano anche al papa, si è infine deciso a rivolgersi alla polizia.

Se Rugolo piange, monsignor Gisana certo non ride. In un’intercettazione pubblicata integralmente dal Mattino, il vescovo ammette chiaramente il suo coinvolgimento: «Il problema è anche mio perché io ho insabbiato questa storia… eh vabbè, pazienza, vedremo come poterne uscire!».

Finzioni, stratagemmi, omissioni. Qui si sa ma non si dice, immersi in un ambiente omertoso in cui i fedeli firmano petizioni di solidarietà per il prete pedofilo e il vescovo che lo protegge, solidali con dei sacerdoti attenti a coprirsi le spalle l’un l’altro, e pazienza se a venire sacrificati sono i ragazzini. Emblematico a questo proposito il commento del vicario generale don Antonino Rivoli che, interrogato dagli inquirenti sul caso di Messina, ammette: «nessuno di noi pensò di dover informare l’autorità giudiziaria di tali abusi dato che erano stati commessi (soltanto ndr) su un minore». Un ambiente in cui don Rugolo ha continuato a essere parroco e insegnante di religione al liceo scientifico anche dopo aver confessato il fatto e dove don Murgano, il prete che aveva suggerito ad Antonio di dimenticare la violenza, nel 2019 viene addirittura nominato dal vescovo referente del Servizio per la tutela dei minori della diocesi di Piazza Armerina, incarico che ricopre tutt’oggi. 

Don Giuseppe Rugolo è stato arrestato il 27 aprile 2021 e il processo a suo carico si è aperto a Enna il 7 ottobre scorso; la prossima udienza sarà il 7 luglio. Nel frattempo gli sono stati revocati gli arresti domiciliari. Nell’ordinanza si legge che in Emilia ha avuto rapporti con due diciannovenni del luogo e incontrato in un albergo di Ravenna un suo ex allievo di Enna. Dall’analisi del suo pc sono emersi innumerevoli download di foto di uomini nudi; fra marzo 2020 e gennaio 2021 si sono registrati accessi a siti porno con la chiave di ricerca “teen” a qualsiasi ora, con una media di almeno 60 al giornoMonsignor Perego oggi dichiara: «durante il periodo trascorso in arcidiocesi, non è accaduto nulla di mia conoscenza che facesse dubitare della sua condotta sacerdotale».

Foto di Konstantin Malanchev – Enna

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