Di Federica Tourn (Left, 21/10/2017)
A Lampedusa ci sono i pescatori, sulle Alpi i montanari ma la legge è la stessa: non si lasciano i dispersi in pericolo e si dà rifugio a chi lo chiede. Se mare e montagne sono inevitabili confini naturali, sono solo gli Stati che possono costituire le frontiere: ma né gli uni né le altre sono destinati a reggere, se chi migra è costretto dalle avversità e se c’è qualcuno pronto a dare accoglienza, nonostante tutto.
La frontiera fra Francia e Italia oggi è diventata una cerniera che chiude ogni strada e sbarra ogni valico, guardati a vista dalla Gendarmerie, impegnata in una vera caccia all’uomo pur di scovare gente senza documenti in regola, dublinés che vengono prontamente restituiti all’Italia, e pazienza se riproveranno il giorno successivo a entrare nell’agognata République, che non li vuole a nessun costo, nemmeno se minori. «Anche se in questo caso la Francia sarebbe obbligata ad accettare la domanda d’asilo; invece li dichiara maggiorenni e li rimanda indietro. E’ una fabbrica di clandestini. Se lo Stato è il primo a non rispettare le leggi, siamo alla catastrofe». A parlare è Michel Rousseau, dell’associazione Tous Migrants, che a Briançon, cento chilometri da Torino, ha aperto un centro gestito soltanto da volontari per dare assistenza ai migranti che dalla val di Susa arrivano partendo da Bardonecchia e risalendo il Colle della Scala, 30 km a piedi. Quest’anno ne sono arrivati più di mille da Camerun, Costa d’Avorio, Mali; il 60% di loro ha meno di 18 anni. Sono poco vestiti e per nulla attrezzati per l’alta quota, dove di notte la temperatura è già scesa sotto lo zero; per muoversi usano il gps del cellulare, ma spesso è la polizia italiana a mostrare loro il sentiero da prendere. A volte ci mettono giorni a scavallare il colle, camminano di notte quando hanno più possibilità di non essere visti e si nascondono di giorno: «Ne ho recuperato uno a Nevache, a pochi chilometri da qui, era congelato; i passeurs qui non ci sono, se ne dovessimo mai incontrare uno gli faremmo passare un brutto quarto d’ora», racconta Rousseau, che non nasconde l’indignazione per quello che sta succedendo. «Sapevamo che con la chiusura della val Roja avrebbero cominciato a passare da qui e ci siamo organizzati – dice – A nostre spese, e parlo di decine di migliaia di euro. Ma non possiamo accettare che della gente muoia in Europa nel 2017».
E’ una storia di resistenza e mobilitazione civile, quella del Briançonnais: su una popolazione che conta appena 22mila abitanti, più di trecento sono impegnati attivamente nell’assistenza ai migranti e un centinaio di famiglie divide la casa con un rifugiato. Nel 2015, quando la jungle di Calais, l’enorme centro d’accoglienza ai bordi della Manica, viene chiusa e i migranti delocalizzati, il Comune di Briançon accetta di prenderne alcuni, e così fa di nuovo l’anno successivo, quando arrivano gli sfollati parigini di Porte de La Chapelle. «La popolazione si è mostrata subito solidale e non abbiamo mai avuto incidenti – racconta Luc Marchello, direttore della Maison des Jeunes, centro sociale che ha collaborato nell’accoglienza – ma la politica del governo non si prende carico dei rifugiati e noi a queste condizioni non accettiamo più di essere agenti dello Stato».
Il riferimento è al presidente Macron, che in pochi mesi ha gettato la maschera amabile della campagna elettorale e mostrato un volto tutt’altro che propizio verso chi chiede asilo nel suo Paese: per la quarta volta in due anni ha deciso di ignorare gli accordi di libera circolazione di Schengen, prolungando fino al 30 aprile 2018 i controlli alle frontiere con la motivazione della persistente minaccia terroristica. Non è tutto: il 3 ottobre l’Assemblea nazionale ha approvato a grande maggioranza la nuova legge antiterrorismo, che entrerà in vigore il 1° novembre e di fatto trasferirà nel diritto ordinario le misure eccezionali dello Stato d’emergenza: fra queste, la possibilità di eseguire controlli d’identità alle frontiere, chiudere luoghi di culto ed effettuare perquisizioni anche al domicilio. Un campanello d’allarme per chi ospita stranieri: «finora la polizia si è limitata a fermare chi dà passaggi in macchina ai migranti ma da domani potrebbero entrarci in casa – commenta Rousseau – Assistiamo a un grandissimo passo indietro sul fronte dei diritti».
Al centro d’accoglienza di Briançon, intanto, sette giorni su sette vengono serviti pranzo e cena a più di cinquanta persone; al piano superiore ci sono anche delle camere da letto, che ospitano una ventina di ragazzi. I medici passano regolarmente e cercano di fornire anche un supporto psicologico: inutile dire che i migranti soffrono quasi tutti di stress post traumatico, per non parlare di ferite mal rimarginate, affezioni della pelle, malnutrizione. Un paio hanno dovuto subire l’amputazione delle dita per congelamento. Le loro storie si somigliano tutte, sono racconti di violenza, di guerra e di privazioni, e nessuno parla mai della nostalgia del passato o dell’incognita del futuro. Lo sa bene Aimé, che liquida la solita domanda su come è arrivato in Europa con un sarcastico «voi giornalisti lo sapete meglio di noi quello che affrontiamo». Studente del Camerun, ha 29 anni, è passato per la Libia e Lampedusa, vorrebbe restare in Francia: questa la sua carta d’identità. Ora, a Briançon, aspetta.
I volontari di Tous Migrants sanno bene che il centro potrebbe essere chiuso da un momento all’altro: «se succederà – chiosa Rousseau – faremo altro. Molto ora dipende dal progredire della stagione: finché non nevica gli arrivi continueranno, poi è possibile che i rifugiati si blocchino a Bardonecchia». Ci troveremo davanti a un effetto Ventimiglia a due passi dalle stazioni sciistiche? «Finora la polizia ha chiuso un occhio e i ragazzi “in transito” cercavano di non farsi notare; stavano sommersi per essere salvati, per così dire – commenta il sindaco di Bardonecchia Francesco Avato – Certo, dovessero aumentare i migranti sarebbe un problema, il comune non è attrezzato per far fronte a una situazione del genere».